«Non ci sono più i comunisti di una volta», deve aver pensato l'avvocato Sara Minuto quando ha ascoltato per la prima volta il caso di una sua cliente, cassiera dipendente di Coop Liguria. Il fatto è semplice: Coop Liguria obbliga tutti i lavoratori a prestare la propria attività lavorativa indossando le divise che fornisce, ma che ovviamente, anche par ragioni igieniche non possono essere indossati se non sul luogo di lavoro. Ma non solo: le regole aziendali impongono al lavoratore di timbrare in entrata e in uscita già indossando gli abiti da lavoro. Niente di particolarmente strano, salvo che per un particolare: lo spogliatoio si trova ad un piano differente da quello del grande magazzino aperto alla clientela e il tempo necessario per cambiarsi e recarsi in postazione (e viceversa) è di circa venti minuti complessivi. Che però Coop ricomprende nell'orario di lavoro.
«Ma le cooperative non nascevano per proteggere e dare opportunità lavorative migliori ai compagni lavoratori, salvaguardandoli dal bieco datore di lavoro, capitalista e sfruttatore? Forse il confronto serrato sul mercato della grande distribuzione ha portato a macchiare anche le dottrine più inossidabili?», ha pensato la lavoratrice che si è anche sentita un po' presa in giro. E quindi si è rivolta a un avvocato.
La controversia è finita ovviamente davanti al Tribunale di Genova e proprio ieri il giudice monocratico della sezione lavoro, Marcello Basilico, ha pronunciato sentenza di accoglimento del ricorso presentato dalla lavoratrice, che ha trovato così giusto riconoscimento dei propri diritti (soprattutto patrimoniali).
E Coop? Non è dato sapere se nel segreto delle stanze dirigenziali abbiano in realtà gioito anche loro per la vittoria del compagno lavoratore, ma il timore è che il precedente sia troppo fastidioso persino per i paladini dei lavoratori e che la guerra delle carte bollate sia solo all'inizio.
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