Rino Di Stefano
Cristoforo Colombo non era un santo, venne coinvolto in uno scandalo sessuale a dir poco esecrabile, da uomo del Medioevo considerava gli indiani del Nuovo Mondo né più né meno che schiavi e aveva un solo chiodo fisso nella testa: raggiungere il suo obiettivo di scopritore a qualunque costo, a prescindere da eventuali e prevedibili difficoltà. Il quadro che traccia un profilo senza dubbio più crudo ma comunque più reale del Grande Navigatore, si evince dalla lettura del libro «Colombo» dello studioso genovese Dario G. Martini, un volume assolutamente eccezionale che la Vallecchi Editore ha voluto pubblicare in collaborazione con la Fondazione regionale Cristoforo Colombo per celebrare i 500 anni dalla morte dello scopritore. Un libro di 272 pagine eccezionale sia per il grande formato (cm 33x45), sia per la realizzazione con carta speciale delle Cartiere Milani di Fabriano, il cofanetto rigido, la rilegatura artigianale in pelle con impressioni in oro e, soprattutto, la tiratura limitata in 1999 esemplari. Insomma, un volume da collezione che ricorderà negli anni le celebrazioni colombiane del 2006.
Martini, 82 anni portati con molta saggezza, è uno studioso di Colombo di vecchia data. Giornalista, scrittore e drammaturgo conosciuto in Italia e all'estero, non è uno di quegli autori che cerca a tutti i costi di contrabbandare un'immagine fantastica del navigatore, magari a spese della concretezza storica. Al contrario, seguace dell'indagine scientifica che ha trovato in Paolo Emilio Taviani il più noto dei suoi sostenitori, ha sempre cercato di mettere insieme tutte le informazioni di cui disponiamo su Colombo per cercare di chiarire anche gli ultimi enigmi sulla sua avventurosa vita. Non è vero, infatti, che su Colombo non esista alcuna documentazione storica, come qualche autore ha cercato di far passare. Soltanto a Genova Taviani e altri studiosi accademici hanno portato alla luce circa 200 documenti inoppugnabili sull'origine di Cristoforo Colombo e sulla vita della sua famiglia.
«Soltanto un documento - racconta Martini - suscitava ancora qualche perplessità negli storici: la lettera del savonese Michele da Cuneo. Nella missiva questo personaggio, che era un buon conoscente di Colombo e che si era imbarcato con lui sulla Maria Galante, meglio conosciuta come Santa Maria, racconta con termini molto crudi che l'ammiraglio gli aveva donato un'indigena del posto (una camballa, cioè una donna cannibale) e che egli l'aveva legata e violentata perché lei non voleva unirsi a lui. Fin dall'inizio questa lettera aveva provocato opinioni discordi negli studiosi in quanto proiettava un'ombra negativa sull'ammiraglio. Qualcuno diceva che era falsa, ma alla fine un giovane laureando, con molta bravura e una buona dose di fortuna, è riuscito a dimostrare che Michele da Cuneo è esistito davvero e che la lettera era autentica».
Per comprendere di che cosa stiamo parlando, è meglio citare le stesse parole di Michele da Cuneo. Siamo nel 14 novembre del 1493 e l'equipaggio della Santa Maria è appena reduce da uno scontro con gli indigeni davanti all'isola di Santa Cruz. Ed ecco quindi cosa scrive il marinaio savonese ad un suo amico e conterraneo in Liguria.
«Presi una camballa bellissima, la quale il signor Almirante mi donò; la quale avendo io nella mia camera, essendo nuda secondo loro costume, mi venne voglia di solaciar cum lei. E volendo mettere ad execuzione la voglia mia, ella, non volendo, me tractò talmente cum le ongie, che non voria alora aver cominciato. Ma così visto, per dirvi la fine del tutto, presi una corda e molto ben la stringai, per modo che faceva cridi inauditi, che mai non potresti credere. Ultimate, fussimo, de acordio in tal modo, che vi so dire che nel facto parea amaestrata a la scola de bagasse».
Uno stupro in piena regola, quindi. E apparentemente con il beneplacido dello stesso ammiraglio.
«Questo documento era oggetto di dubbi e contestazioni - racconta Martini - fino a quando un giovane studioso savonese, Giuseppe Milazzo, costruendo la sua tesi di laurea, è riuscito a dimostrarne in maniera inconfutabile l'assoluta autenticità. Per capire i dubbi che gravavano su questa lettera, bisogna rifarsi agli enigmi, veri o presunti, che sembrano ancora aleggiare sulla controversa figura dello scopritore. Enigmi dovuti, in larga parte, a un malinteso perbenismo che ha voluto presentarci Cristoforo Colombo come un santo, in alternativa al ritratto di chi ha inteso invece proporcelo come un esecrabile avventuriero senza scrupoli».
Secondo Martini, la ritrosia di Colombo a non voler rivelare in Spagna le sue vere origini nasce solo dal fatto che egli non voleva si sapesse che era figlio di quel Domenico Colombo finito in carcere per debiti, anche se solo per un giorno. I dubbi sul luogo di origine e di nascita di Colombo, però, non sussistono più. E a questo proposito Martini cita la testimonianza del professor Aldo Agosto, già benemerito direttore dell'Archivio di Stato di Genova, il quale viene a tutt'oggi considerato il maggior esperto della questione.
La scandalosa lettera che tanto ha fatto discutere gli storici era contenuta, in copia, in un brogliaccio, chiamato Manoscritto nero, che reca la data 1 novembre 1533, l'intestazione Ms. 1 C2 sulla copertina di cuoio scuro, e 128 fogli numerati a matita. Questo manoscritto era stato lasciato in dono alla Biblioteca Universitaria Bolognese il 12 aprile 1780 da Guido Antonio Zanetti, medico e bibliofilo. La lettera firmata da Michael de Cuneo, contenuta tra le pagine 24 e 46, è indirizzata al «Nobili D. Hieronymo Annari» ed è intitolata «De novitatibus Insularum oceani Hesperii reperatum a Don Christoforo Columbo Genuensi».
Ovviamente mille sono i dubbi che la scoperta di questo manoscritto ha subito suscitato. Tanto per cominciare, come mai quel manoscritto era finito nelle mani del dottor Zanetti? Da dove proveniva? E come mai era saltato fuori soltanto tanti anni dopo?
Per farla breve (l'intera storia è riportata con moltissimi dettagli nel libro di Martini insieme a diversi altri contenuti colombiani) il giovane Milazzo scoprì che i de Cuneo non erano originari della ben nota città piemontese, bensì da Cunio, piccola frazione nei pressi di Segno, sulle colline alle spalle di Vado Ligure. Non solo. Milazzo trovò anche lo stemma della famiglia nel palazzo Gavotti e nel palazzo Pavesi-Del Carretto-Pozzobonelli di Savona, accertò che Michele da Cuneo era nato nel 1448, tre anni prima di Colombo, e morì nel 1503, sempre tre anni prima di Colombo. Il giovane studioso risolse anche l'enigma del destinatario della lettera. Infatti, per un errore di trascrizione, il nome non era Geronimo Annari ma Aimari. E fu così possibile trovare anche le sue tracce. Insomma, la lettera era autentica. Per cui si doveva affermare che, in effetti, Colombo aveva realmente regalato l'indigena al suo compatriota, con tutto quello che un simile atto comprende.
A difesa di Colombo vale la pena citare un altro episodio riportato da Martini. Infatti nel 1512, a Santo Domingo, nel corso di un processo il testimone Romiro Rodriguez raccontò che un giorno, nei pressi di Veragua (lattuale Panama), gli indiani lasciarono sulla spiaggia due bellissime fanciulle facendo cenno agli uomini di Colombo che potevano prendersele e farne ciò che volevano.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.