Il «dodicesimo» da mettere in campo

(...) C'è in giro, in verità, una certa disaffezione, gli abbonati diminuiscono, le violenze aumentano, i rapporti con la società diventano sempre più difficili. Tensioni, ansie, screzi anche rancori e rabbie. La «bandiera» finita nel sottoscala, Il senso di appartenenza finito malamente fuori campo. E dov'è il mai finito, il grande, acclamato, apprezzato tifo del Ferraris di cui per decenni hanno parlato tutte le gazzette del mondo?
Venire al Genoa significava «entrare in una società dove il tifo diventava il tuo eccezionale compagno di viaggio». Oggi tutto è cambiato: viviamo certo in una società arida, grezza, dove i grandi valori stanno affievolendosi, e quindi anche nel calcio certi «valori» stanno scomparendo (la maglia, la bandiera, l'appartenenza, l'identità) e poi guardando, in particolare «dentro» il Genoa si vivono da qualche anno rapporti difficili tra società e tifosi. Il perché è delicato da spiegare, o forse è anche troppo facile. Intanto la televisione ha allontanato i tifosi, almeno quelli più tiepidi, la paura dello stadio (violenze continue, provocazioni, etc.) ha spinto la famiglia a starsene a casa. E poi l'affezione vera alla maglia, ai colori che una volta costituivano momenti esaltanti di appartenenza, hanno ormai un significato molto meno forte. Il Genoa, si diceva. Basta ricordare il marginalissimo episodio di giorni fa quando all'allenamento Preziosi ha ordinato di non far entrare i tifosi sugli spalti, con reazione degli stessi che hanno aperto una reticella e sono entrati egualmente. Sarebbe mai successo anni fa, ad esempio ai tempi di Scoglio, quando il «professore» diceva: «Porte aperte sempre, tifosi ai bordi del campo»? Ma sarebbe mai successo, per converso, che un tifoso si sarebbe azzardato di entrare in campo a «toccare» un giocatore? Mai e poi mai.
Altri tempi, naturalmente. Oggi queste difficoltà di rapporti (torti e ragioni sono un po' da entrambe le parti) hanno portato a far perdere l'identità di un patrimonio d'amore che fu grande, enorme, straordinario dalla nascita fino agli anni Ottanta/Novanta del Grifone.
Arrivate le televisioni commerciali, arrivati i contratti a tanti zeri, arrivati di «procuratori», arrivato il denaro al posto della bandiera, tutto è andato verso il degrado. E oggi, purtroppo, dobbiamo dire con amarezza (soprattutto da parte di quella generazione che ha visto i fulgidi anni del vero Grifo) il «dodicesimo uomo» non esiste più o comunque è diventato piccolo, piccolo.

Sarebbe una sorpresa, forse un sogno se proprio in occasione di uno degli scontri «storici» fra due società storiche del calcio italiano, oggi questo «dodicesimo uomo» risaltasse fuori e diventasse il vero vincitore di una, allora sì, indimenticabile domenica di gennaio.

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