Cronache

Doria ha la testa a Roma ma la sua Genova affonda

(...) nelle piazze centrali di Genova e lungo le vie più battute da indigeni e turisti. Possono aspettare i residenti dei caruggi che reclamano il diritto di poter camminare in strade pulite, di rientrare la sera a casa senza aver paura di girare in un angolo buio, senza assistere allo spettacolo di chi urina per strada, spaccia o vuol prendersi a botte. O di disperati che si bucano alle otto di sera di un giorno festivo a pochi passi dalla sede della Regione Liguria. Possono aspettare anche i negozianti e gli esercizi commerciali di via Venti e dintorni, dove gli accattoni bivaccano in pianta stabile, tenendosi occupato il posto per strada con cartoni, stracci e guanti.
Ma non era stata proprio la giunta Doria a luglio dell'anno scorso ad attivare un «piano per ripulire la città» con i vigili pronti a scendere in strada e ad intervenire contro chi, con il proprio comportamento, creava «situazioni di degrado», con tanto di corso di mediazione culturale per preparare gli agenti? Diceva allora l'assessore alla sicurezza Elena Fiorini: «agli agenti della polizia locale è stato richiesto di chiedere una prima volta, alla persona che viene colta in atteggiamenti non opportuni per il pubblico decoro, di non proseguire. Se la risposta è negativa, bisogna avanzare la richiesta una seconda volta, con tutta la cortesia del caso. Se neanche la secondo richiesta ha risultati, allora si passa all'identificazione. La sanzione poi, che serve a poco, viene lasciata per ultima». Ma a dire il vero, pare che per ultima in ordine di importanza sia considerata la tutela e la sicurezza dei cittadini, oltre al decoro della città. Mentre chi «crea condizioni di degrado», sembra essere continuare a godere di un trattamento di tutto riguardo, con le dovute cautele e premure.
Come gli accampamenti nomadi ai giardini Caviglia, davanti alla stazione Brignole e sotto il «bruco», terra di nessuno ormai da tempo immemore. Non sono bastati denunce, pestaggi, scippi, rapine e un morto - lo scorso febbraio - per far sì che il sindaco e la sua giunta decidessero di intervenire. All'indomani cerot, con grandi promesse: via al più presto le transenne dei cantieri della metropolitana e via al più presto anche il «bruco». Sotto il bruco dopo qualche giorno di break, sono tornati i materassi degli zingari, sul prato i loro cartoni e sulle siepi i loro stracci appesi ad asciugare. E pronti a scattare ad ogni semaforo rosso, loro, una coppia di giovani ragazzi con una bottiglia di plastica piena di acqua sporca in una mano e l'altra pronta ad elemosinare monete.
Gli stessi che poi la sera, qualche metro più in là e appena attraversata la strada, vanno ad accamparsi proprio sotto gli uffici del palazzo dell'Eni. Stanno lì, indisturbati, mangiano, bevono. Stendono i loro cartoni come giacigli, sistemano gli stracci dietro la testa a far da cuscino e aspettano che arrivi un nuovo giorno per ritornare al «lavoro». Certi che nessuno li disturberà, che nessuno si sognerà mai di dire qualcosa o di impedirgli di usare una parte di città a loro piacimento. Perché l'amministrazione e il sindaco avranno sempre cose più urgenti a cui pensare.

Questione di priorità: Genova e i genovesi possono attendere.

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