«Due consigli al Pdl: riparta dai militanti e smetta di litigare»

«Due consigli al Pdl:  riparta dai militanti e smetta di litigare»

Quando ero bambina, nella casa di campagna ove abitavamo, capitava spesso di rimanere senza luce e, ogni volta che accadeva, mi coglieva un terrore irrazionale, quasi mi aspettassi di veder spuntare dalle tenebre una creatura mostruosa che mi rapisse.
Poi, d’improvviso, l’accendersi di una candela che mio padre teneva sempre a portata di mano, spazzava via come d’incanto tutte le paure e i brutti incubi della mia mente. L’articolo e l’iniziativa di Lussana hanno funzionato come quella candela del tempo andato: nel buio pesante di questi giorni hanno riacceso la speranza che forse non tutto è perduto, che si può tentare di ripartire con le forze di cui ancora disponiamo davvero e che non hanno mai abbandonato il Partito: i militanti della base.
Per militanti, sia chiaro, intendo quelli veri, che non tradiscono mai, quelli che lavorano perché si affermi un’idea e non per occupare una poltrona, quelli che ogni giorno con tenacia portano nella società e sul territorio il sogno di un ideale, quelli che non chiedono e proprio per questo vengono dimenticati.
E invece assistiamo allo snobismo totale nei loro confronti da parte di coloro che si sentono depositari del verbo assoluto, sacerdoti di un culto superiore degli eletti, di chi non sbaglia mai, di chi ha capito tutto e non ha bisogno di insegnamenti.
Ma il linguaggio dei numeri, mi riferisco a quelli elettorali, dice un’altra cosa purtroppo per noi e purtroppo per Genova: dice che l’opposizione del centro destra qui non esiste da molto tempo, dice che il partito non ha saputo (o voluto?) strutturarsi come sarebbe stato invece indispensabile, dice che non siamo presenti nella complessa rete dell’associazionismo, settore nel quale la sinistra opera incessantemente 365 giorni all’anno e grazie al quale parla a decine di migliaia di persone mentre noi riusciamo a mala pena a parlare con il vicino di casa.
Eppure argomenti sui quali sviluppare la nostra battaglia culturale ce ne sono in abbondanza perché Genova è in caduta libera da ormai più di trent’anni e se siamo passati da colonna portante dell’economia nazionale a città assistita lo dobbiamo alla sciagurata conduzione amministrativa della sinistra, sinistra che non ha colto le grandi trasformazioni che si andavano concretizzando nel mondo industriale e civile del nostro Paese. E invece nulla, silenzio quasi assoluto, opposizione ovattata e surreale, sbiadito simulacro di una battaglia politica che avrebbe dovuto invece levare alto il proprio grido di dolore.
Le uniche iniziative «vere» di questi anni sono state condotte da Matteo Rosso e Gianni Plinio: da coloro cioè che si sono resi protagonisti di questo nuovo tentativo di rilancio del Partito. Non è un caso.
Non sono felice di aver perso, naturalmente, ma la cosa che più mi ha dato fastidio e mi ha offeso in questa campagna elettorale è stato il dover assistere allo spettacolo avvilente di candidati che hanno condotto la propria battaglia non contro la sinistra, come sarebbe stato naturale e necessario, ma contro i propri amici di schieramento. In questa insensata lotta per strappare un voto di vantaggio sul collega di partito sta il senso della nostre perenne debolezza: invece di impegnarci per sconfiggere il nemico politico ci preoccupiamo della poltrona nostra, grande o piccola non importa purché poltrona sia.


Ribadisco una cosa che mi sta particolarmente a cuore e che ho già detto altre volte: dimentichiamoci le autocelebrazioni che ci portano da nessuna parte, guardiamo al merito di chi lavora e lasciamo perdere gli adulatori per opportunismo perché costoro non costruiranno mai per il movimento ma solo per se stessi, guardiamo invece con rispetto ai tanti idealisti che si ostinano ancora a credere che il Partito (quello con la P maiuscola) sia un’organizzazione di uomini liberi che si incontrano per dare sostanza al sogno di costruire una società migliore e non per realizzare le proprie ambizioni.

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