Genova in controluce tra ricordi e speranze

Vien da dire subito, sfogliando per una prima occhiata superficiale: «È un libro di ricordi». Ma non «uno dei tanti». Perché sì, i ricordi ci sono, anche sotto forma di una ricca dotazione di immagini, rigorosamente in bianco e nero, e con tutta la suggestione del bianco e nero. Poi però, con cadenza lenta, si cambia. Entrando nel vivo del testo. Che è a due piani, e li mantiene tutti, dall'inizio alla fine, in coerenza col titolo: «Dal Lagaccio alla Luna» (Sagep Editore), dove il «Lagaccio» è l'origine dell'autore, Valter Cirillo Adami, e la «Luna» è la destinazione dell'Apollo 11, ma non solo...
È un testo singolare, che nelle pagine graficamente caratterizzate a sfondo grigio sviluppa pensieri e aneddoti, ma soprattutto l'umanità intesa come affresco di gente comune, e proprio per questo degna di menzione. Come ugualmente degno di menzione è lo scenario: Genova, con la sua storia, i suoi scorci, la sua bellezza, le sue contraddizioni, architettoniche e sociali, urbanistiche e morali. A partire da quell'ambito, il Lagaccio, appunto, in qualche modo «linea di confine tra San Teodoro e Oregina, quartieri della zona nord occidentale nella Genova affacciata sul bacino del porto vecchio». È lì che, il 6 marzo 1953, «arriva» l'autore. È il giorno della morte di Stalin, ed è anche quello della nascita di Adami: «Posso affermare con certezza - scrive, o forse sospira lui - che il momento della mia nascita ha segnato profondamente la storia dei due mondi. Il più vasto, il mondo di fuori, quel 6 marzo del 1953 si risvegliava con un costruttore di imperi in meno e tanta angoscia in più. L'altro, il più importante, il mondo di casa, vedeva consolidarsi una nuova famiglia in seno alla vecchia la quale, pregna di storia che non importava a nessuno, s'avviava rassegnata verso un definitivo e oblioso tramonto. A quel tempo - è la chiusa di nostalgia e malinconia - sembrava che nulla sarebbe più potuto tornare ad essere come prima».
Storia della città che s'intreccia con le storie personali, di congiunti, di amici e conoscenti. Se ne scoprono i volti anonimi, accanto a quelli di personaggi famosi, più ancora nei testi che nelle fotografie. Come Fabrizio De André, Dario Fo, e pure don Andrea Gallo, «quello della Garaventa, viceparroco del Carmine», ma anche tal Giuseppe u perrûcchë, e gli alunni dell'anno scolastico 1961-62, «fortunato gruppo di figli del Lagaccio, provenienti da mezza Italia, futura gente comune e per questo straordinaria. Perché - è spiegato in una didascalia illuminante -, se ognuno di questi irrequieti ragazzetti coinvolto nelle sorti di una nazione da inventarsi, è stato l'artefice del proprio destino, le scelte che ha compiuto, le ha fatte nella situazione e nelle condizioni ereditate da chi le scelte aveva compiuto vivendo prima di lui». E, comunque, «dal gruppo usciranno professionisti, sindacalisti impegnati, attori e registi dal discreto successo nazionale, musicisti internazionali»: a ulteriore dimostrazione, per di capire, che la gente normale è proprio straordinaria! A cominciare dal Lagaccio, dunque, in questo libro che è «interpretazione per immagini di una storia normale di un'adolescenza genovese», si può scoprire la città di ieri e di sempre: strade, piazze, caruggi, dimore patrizie e ruderi, truogoli e profumi di trippa e frittura di pesce, il grande amore per il Genoa, e quello grandissimo per Pina, che «oggi ancora chiamano la mia metà. È un'ingiustizia. Forse la Pina è i miei quattro quinti o forse già i cinque perché se non ci fosse lei, non ci sarei nemmeno io».
È questo lo scrigno interiore, ed è questa la Genova di Adami, «figlio di un camallo, cresciuto in mezzo agli operai o ex contadini diventati operai».

È con questi occhi, con questo disincanto che l'autore vede ancora la sua città e promette, anche a se stesso, di vederla sempre: «Così, correndo lungo i ricordi di quel che è stato, nel frattempo, mi tuffo anche nella sua storia che è anche un po' per uno, la nostra. O magari, per come trasformiamo la nostra città, sarà la storia del nostro futuro». Dal Lagaccio alla Luna, ma, forse, anche molto, molto più in là.

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