Da quando, mercoledì nel tardo pomeriggio, si è diffusa la notizia della condanna al carcere per il nostro direttore Alessandro Sallusti, il mio telefono non ha mai smesso di squillare. Una signora di Genova, affranta, e poi un'altra dalla provincia di Imperia, e l'immancabile Roberta Bartolini che ha scritto torride lettere di solidarietà al direttore, e poi il dottor Ottone e Amedeo Ronteuroli del centro studi sulla criminalistica, Celso Vallarino, pensionato del Porto, Enea Petretto e Guglielmo Russo, dall'imperiese: «Se serve fare una colletta, io ci sono». E tanti, tanti altri.
Poi, c'è un altro mondo. Quello della politica. Quello che si è inventato «la città dei diritti», quello che inaugurò un «giardino dei Giusti» in piazza della Vittoria richiamandosi a Carlo Giuliani, quello che sforna comunicati su ogni aspetto dello scibile umano.
Tanto per dire, solo ieri sul mio tavolo si sono ammonticchiati più di 2500 (duemila e cinquecento!) mail e fax che commentavano di tutto, dalla sanità alla caccia, dalle piste ciclabili - che sarebbero le benvenute - alla crisi dell'Ilva. Tutti temi importantissimi, per carità. Ma, forse, nella «città dei diritti» un po' meno importanti o, almeno, altrettanto importanti rispetto alla libertà di stampa.
E invece. E invece, su quel tema, fra i 2500 mai e fax firmati dai politici più vari ed eventuali, soprattutto eventuali, ce n'erano solamente 2 (due) di solidarietà di politici liguri con Alessandro Sallusti. Per la cronaca, ad esempio, non c'è nessun rappresentante delle istituzioni. E, se da un lato, è vero che il nostro direttore non è ligure nè di nascita, nè di residenza, è anche vero che, non più tardi di mercoledì pomeriggio, poche ore prima della sentenza della Cassazione, il sindaco di Genova Marco Doria aveva vergato ben 14 (quattordici) righe per biasimare una minaccia di morte al pm di Palermo Antonio Ingroia, pure lui non ligure, nè di nascita, nè di residenza.
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