Macché febbre da cavallo Nessuno si dà più all'ippica

Macché febbre da cavallo Nessuno si dà più all'ippica

(...) sull'occhio di un suo «collega» inseguitore, ferendolo. Non che i sassi siano mai mancati dalle piste in terra, e comunque era nell'aria da tempo che al Romanengo non sarebbero più state assegnate corse ufficiali, ma quello sfortunato incidente fu un simbolo: fine di un'era gloriosa, inizio di un'epoca di disgrazia.
Il destino dell'ippodromo che fu la seconda casa di tanti Mandrake liguri e piemontesi, emuli dello scommettitore incallito Gigi Proietti nel film «Febbre da cavallo», è adesso legato ad un complesso contenzioso legale. In tribunale si affrontano l'ultimo gestore, il veterinario Franco Garombo che ha lasciato la struttura il 31 dicembre 2011, e il proprietario Claudio Ricci, in una tempesta di accuse e controaccuse su chi sia il responsabile dell'attuale fatiscenza del Romanengo. Al di là delle carte bollate, Ricci è un caso unico al mondo: proprietario di uno dei pochi ippodromi totalmente privati d'Italia, non è un imprenditore ma un semplice operaio che ama quella pista alla follia. Questione di sangue, che è più importante dei soldi: «L'ippodromo - racconta - lo fece costruire mio nonno materno Giovanni Fossati su un terreno di sua proprietà». Fossati, per realizzare l'opera, abbatté - ricostruendola trenta metri più in là - una propria cascina che sorgeva in corrispondenza di una delle due curve della pista, quella che dà verso Pozzolo Formigaro. Morì proprio nel fatidico 2004, l'ultimo anno di corse. Ricci ha quindi ereditato l'ippodromo e se il futuro è un enorme punto interrogativo, di una cosa è certo: «Il Romanengo, che vorrei ribattezzare Famiglia Ricci, rimarrà un impianto sportivo», anche se è su un terreno di 85mila metri quadri che, con un cambio di destinazione d'uso, potrebbe veder sorgere un po' di case. «Niente palazzine, per carità: ho dei bimbi piccoli e vorrei che un giorno potessero anche loro gestire l'ippodromo. Certo, per mantenerlo in vita non ci si può affidare solo ai cavalli. Per questo c'è il campo da calcio e uno, piccolo, da rugby: sono vicino all'accordo con due società sportive novesi per ospitare gli allenamenti. Voglio anche fare un campo da beach volley, mentre la pista può continuare a servire allo scopo attuale: far allenare i cavalli, e magari ospitare qualche corsa interna, fuori dal circuito ufficiale. Conto di realizzare la recinzione entro il 2013, ma i lavori posso farli solo un po' per volta con quel che ho».
Già, i cavalli: sono loro che mantengono in vita il Romanengo, che deve il suo nome all'industriale genovese naturalizzato novese, un gentleman di stile britannico appassionato di caccia alla volpe, scomparso nel 1959. Al di là dell'ovale c'è una cittadella: un gruppo di scuderie che ospitano una ventina di animali di quattro proprietari diversi. Uno di loro, Francesco Cerniglia, è un uomo che non solo sussurra ai cavalli: li tratta come figli e fratelli. Siciliano di origine, novese fin dall'infanzia, porta i propri pupilli (Astor, Latest Seul, Simonetto e altri quattro) a correre all'ippodromo, quello sì funzionante, di Villanova d'Albenga. Li monta il fantino Marco Traverso, impiegato contabile che tutti i giorni in pausa pranzo anziché mangiarsi il tramezzino e leggere la Gazzetta si precipita all'ippodromo, indossa la tuta e gli stivali sopra i vestiti da lavoro e fa girare uno dei purosangue. Il lunedì è il giorno delle corse ad Albenga, anche se i cavalli della scuderia Cerniglia vengono iscritti e gareggiano a volte anche a Varese o in altri ippodromi del nord. «Bisogna essere proprio appassionati, al limite della malattia, per portare avanti un'attività così», confida Cerniglia. «Portare i cavalli costa, trovare i fantini per quando ho più di un cavallo nella stessa corsa costa, e i premi per piazzamenti e vittorie arrivano tardi, se arrivano. E comunque sono molto più magri». D'altronde, allarga le braccia il fantino, «oggi tutti scommettono sul calcio o giocano a poker online, le corse non tirano più. Ma se gli ippodromi scioperano, l'Assi (l'ente governativo che gestisce in tutto e per tutto l'ippica, rendendola l'unico sport completamente nazionalizzato, ndr) apre scommesse su corse estere, pure quelle di ippodromi africani. Tanto ormai alla gente cosa frega di conoscere il cavallo su cui punta?».


Latest Seul, splendido baio di sei anni, interrompe la conversazione con decisi colpi di zoccolo sul pavimento: ha capito che è ora di uscire per fare tre giri con Marco in groppa. Tra qualche giorno si corre ad Albenga, e lì intorno non ci saranno alberi spogli e cemento cadente, ma persone vere che battono le mani. Meglio farsi trovare ben allenati.
(1. continua)

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