Cronache

«La mia odissea per aprire un sito di commercio via Internet»

Commercio elettronico, la nuova frontiera? Non da noi. Almeno a vedere la disavventura in cui è incorso un piccolo imprenditore genovese che sta provando ad espandersi per vendere i propri prodotti tramite internet. «Non passa giorno che il nostro ministro dello Sviluppo Economico non ci ricordi quanto il digitale sia in cima ai suoi pensieri tanto da ipotizzare, addirittura, una fiscalità facilitata per la vendita online, su cui ci sarebbe molto da dissentire per varie ragioni» dice il commerciante, che non ha ancora visto finire la sua odissea. E che fa notare che «lo stesso ministro si è dato come obiettivo la moneta elettronica totale a partire dal 2013 oltre i 50 euro».
Ma la storia del genovese che ha tentato di aprire un sito di vendita online - partendo da una partita Iva esistente da ben 15 anni e già convenzionato con il maggior gestore di moneta elettronica italiana, ovvero Cartasì - fa scuola.
«Ai primi di agosto forniamo tutta la documentazione richiesta tramite la Banca Ubi Banco di San Giorgio. Per oltre tre settimane non riceviamo alcuna notizia - racconta il commerciante che di recente si è rivolto all'avvocato Francesca Gnocchi - A quel punto iniziamo a chiedere informazioni alla banca che ci ripete di essere soltanto “passacarte” tra noi e Cartasì e che mancano dei documenti, ma che loro non riescono a farsi dire quali. Poi ci viene invece comunicato che la pratica è ancora in attesa di valutazione da parte dell'ufficio antifrodi».
Passa il tempo, ma non succede nulla. «Richiediamo nuovamente delucidazioni ma ci viene risposto dalla banca che l'unica cosa che possiamo fare è chiamare il call center Cartasì - continua - Venerdì 21 settembre chiamo il call center Cartasì e per la prima volta mi viene detto che sulla pagina on line del nostro sito, che già visto che funziona ci costa 500 euro al mese, risulta mancare “il carrello”. Chiedo all'incaricata del call center cosa vogliano vedere tecnicamente, mi risponde che non ne ha idea che “lo saprà bene il nostro webmaster” (chi ha creato il sito, ndr). Peccato che col mio cellulare io abbia il webmaster in linea. A quel punto quella del call center balbetta e non sa che dire. Diciamo che il mio tono di voce si è leggermente alzato. Allora, improvvisamente, si fa ripassare il bancario e gli dice qualcosa. Mette giù la comunicazione e mi garantisce che sarò contattato in giornata. Ricevo una mail molto generica firmata dal signor “K.” Comincio a temere di essere vittima degli alieni di Men in Black. Senza numeri da richiamare, senza riferimenti, il signor K. dice che la pratica è bloccata all'ufficio antifrode. Ma non mancava il carrello?».
A quel punto ai malcapitati non resta che far muovere l'avvocato. Il quale riesce a scoprire che CartaSì dice di aver inviato una mail con le indicazioni, che però si sarebbe persa, infatti non è mai arrivata. Il ping pong continua ancora per giorni fintanto che l'avvocato manda una mail alla Banca d'Italia e in copia al Giornale, dove si invita a un'indagine. «Quattro minuti dopo arriva finalmente la mail che attendevamo da 49 giorni, con il contatto tecnico, la descrizione dei dati richiesti, eccetera. Ancora non siamo a regime ma almeno le cose si sono mosse».
Che dire? Tempi della moneta elettronica.

Il caso finalmente, dopo ben 50 giorni, si è sbloccato e l'ok è giunto. Ma ci voleva tanto?

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