(...) E questo, nonostante nessuno lo abbia fatto notare, è scritto a chiare lettere dalla Cassazione, che pure non era neppure tenuta a farlo visto che la questione non faceva parte del processo. In ben due passaggi diversi viene infatti smontato definitivamente il teorema della vendetta di Stato ordinata da Roma. C'era chi aveva voluto leggere nella testimonianza del prefetto Ansoino Andreassi una sorta di ammissione in questo senso: l'alto dirigente aveva parlato di un «riscatto» cercato dalla polizia al termine delle giornate di scontri di piazza, durante le quali le forze dell'ordine avevano rimediato cocenti figuracce di fronte ai no global che devastarono Genova. Ma riscatto, per l'appunto non significa vendetta. «Era stato ben compreso sia dal prefetto Andreassi, sia da tutti gli altri protagonisti delle riunioni preparatorie dell'irruzione, che l'immagine della polizia doveva essere riscattata, essendo apparsa inerte di fronte ai gravissimi fatti di devastazione e saccheggio che avevano riguardato la città - scrivono i giudici -. Il riscatto sarebbe dovuto avvenire mediante l'effettuazione di arresti, ovviamente ove sussistenti i presupposti di legge». Passaggio chiarissimo: niente eccessi, manette e fermi a chi non li meritava.
Poi la stoccata a quanti hanno sempre rimestato nel torbido, sostenendo la tesi della catena di comando che da Roma aveva ordinato il massacro della Diaz: «Non rivestono particolare rilievo le affermazioni del prefetto Andreassi, da alcuno interpretabili nel senso che la raccomandazione del capo della polizia di procedere in modo più incisivo equivalesse all'ordine di eseguire arresti anche in difetto dei presupposti di legge».
Ma perché la Cassazione ha sentito il bisogno di ribadire questi concetti? «Nella sentenza della Corte d'Appello di Genova veniva sostenuta una responsabilità in concorso da parte dei vertici della polizia - spiega l'avvocato Silvio Romanelli, difensore di alcuni poliziotti che parteciparono all'irruzione -. De Gennaro non venne condannato in appello perché non era imputato. Ma per i giudici di secondo grado sarebbe dovuto essere chiamato alla sbarra anche lui. Invece la cassazione in questo senso è chiarissima». Questa novità nella ricostruzione apre però a un altro dubbio. Perché allora la sentenza di appello è stata ribadita e non rinviata a Genova? Forse perché a quel punto sarebbe scattata la prescrizione con tutte le polemiche del caso? «Qui sta il punto - ricostruisce Romanelli -. A parte il fatto che la prescrizione dei reati era già intervenuta, la Cassazione avrebbe dovuto proprio rinviare a Genova gli atti. Invece i giudici hanno sostenuto la teoria del dolo eventuale a carico dei poliziotti per arrivare alla conferma della condanna, facendo apparire che fosse la linea seguita dalla sentenza di appello».
Il passaggio è molto tecnico e merita una spiegazione. I giudici della Cassazione scrivono in sostanza che i poliziotti entrati alla Diaz, i capisquadra, i loro comandanti e i dirigenti che a Genova pianificarono il blitz, avrebbero accettato il rischio che si potesse verificare quello che poi è accaduto durante l'irruzione. Una sorta di reato colposo ma più grave. «Peccato però che i capisquadra, che per grado sono dei brigadieri, nulla sapessero di come e perché era stata organizzata l'operazione e non potessero certo opporsi agli ordini ricevuti da prefetti e questori - osserva l'avvocato Romanelli -. Un caposquadra che guida 9 uomini avrebbe dovuto, in quel contesto, fermare 300 uomini che neanche sapeva chi fossero. Il paradosso è che Canterini, unico ad essere stato informato, anche se solo parzialmente, delle modalità dell'operazione, si era opposto, chiedendo che si lanciassero lacrimogeni all'interno della scuola, proprio per evitare un'irruzione che riteneva potenzialmente pericolosa, sia per gli occupanti, che per i poliziotti. Ancora meno comprensibile è la condanna di Fournier che è l'unico, come acclarato in dibattimento, ad essere energicamente intervenuto per far cessare le violenze e che si è immediatamente adoperato per prestare i soccorsi ad una ferita grave che si trovava al primo piano. Ritengo che tutta la storia di questa sentenza sia davvero una situazione kafkiana».
Anche questo fa parte delle reazioni a una sentenza che è ormai definitiva e, in ogni caso, non può che essere accettata. Quello che non si può fare è invece stravolgere il senso delle parole della Cassazione.
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