Massimiliano Lussana insiste sul fatto che «il sindaco vede nero». Può darsi che si tratti, per Marco Doria, di una condizione temperamentale ma credo che ci si debba porre su un'altra sintonia d'onda. Quest'ultima emerge quando persone di scarsa militanza politica nel corso della loro vita, per motivi particolari, ascendono a cariche che altri, agognandole, conquistano soltanto dopo lunghi decenni. È il caso, nel passato prossimo, di Adriano Sansa che, guarda caso, vedeva irresistibile il declino della nostra città ridotta a soli 450mila abitanti. Non si devono ossequiare i vaticini di tal genere (né che siano di Sansa né di Doria, né di altri) però è inutile ricondurli ad eventi che derivino da idiosincrasie; si tratta piuttosto di un giudizio che nasce come un complesso fenomeno derivante da un passato sciagurato. Il no (a tutto) fa parte della demagogia con cui la sinistra - dal 18 aprile del 1948 - ha fatto opposizione alla capacità di proposta della Dc (giusta o sbagliata che quest'ultima fosse). Naturalmente questo atteggiamento è andato ben oltre il periodo della guerra fredda ed è diventato una modalità (e un sicuro porto di rifugio per la Sinistra caratteristico del fare opposizione; non dunque un solo fenomeno di aule parlamentari ma anche un comportamento sindacale della Cgil). Questo il retroterra. Nel caso di Genova, governata dal 1976 da giunte di sinistra (con l'eccezione della debole giunta Campart) la crisi è cominciata negli anni '80 con il crollo delle partecipazioni statali e da questo sfracello il capoluogo non è riuscita veramente a sollevarsi grazie ad una persistente congiuntura favorevole prima del 2008. Effettivamente Marco Doria, a suo modo, è solo realista, essendo consapevole peraltro che quella ideologia già da lui professata (che già Gramsci aveva constatato ben aliena dalla mentalità degli italiani) non ha più dinnanzi a sé un grande avvenire. Né con tali amministrazioni lo avrà la nostra città. D'altronde dopo 68 anni di questa repubblica che insiste a non volersi radicalmente riformare, non si può far altro che galleggiare (e occorre toccare ferro che non vada peggio). L'unica speranza è uscire da questo cul de sac nel quale siamo finiti grazie allo spirito anticapitalistico professato in larga misura dalla sinistra e, guarda caso, anche dalla Chiesa cattolica. Si meraviglia dunque il professor Coletti che i giovani dalla mentalità vecchia «pseudoresistenti, antifascisti, democratici (a parole)» non vogliano la Tav? Ma il rinchiudersi a riccio - vedi il caso Genova - è stata proprio una scelta delle amministrazioni di sinistra per salvare i soliti noti - nelle attività locali - che poi hanno cortesemente ringraziato le amministrazioni pubbliche attraverso un ritorno di consenso politico. Lussana ricorderà che Sergio Maifredi, un intellettuale nomade a causa della propria attività di regista teatrale, già aveva segnalato il sostanziale isolamento di Genova che ogni viaggiatore deve, a proprie spese, frequentemente constatare lasciando e ritornando verso la propria città natale. I giovani anti-Tav non hanno fatto altro che assimilare e riprodurre le tare che i propri padri hanno loro lasciato in eredità. Doria lo fa a ragion veduta, nel momento in cui la crisi picchia duro. Da grande figura pirandelliana non può abbandonare gli ideali d'antan e sente che essi non offrono più via d'uscita. Perché o si diventa renziani (cioè davvero socialdemocratici) o non c'è nulla da fare, le puzzolenti ideologie del dopoguerra ci hanno tutti, consenzienti o no, asfissiati. Il tentativo della nuova Dc con Mario Monti, ci sta riprovando ma, consapevole o no, o riesce a far saltare questa repubblica o anch'esso non ha speranza. La sinistra più o meno comunista è un sogno inutile, scivolato via dopo gli anni 1989-1991 (la famosa «pattumiera della storia» che Trockij agitava contro gli avversari). Continuare a volerne tenere in vita il fantasma, è pretendere di vivere sempre nel dopoguerra, i cui risultati ultimi sono dinnanzi agli occhi di tutti. Nell'arco dell'intera vita repubblicana, dopo la fine degli anni '68 il destino di Genova è stato particolarmente avvilente e la città pur con tutto l'assistenzialismo che le è stato somministrato non è riuscita a sollevarsi perché ha insistito lungo un sentiero errato, illudendosi che esso fosse fecondo. Questo percorso più che alimentare le speranze ha finito per deprimerle. Doria sindaco della recessione è, al di là dei suoi meriti e delle sue colpe, un corretto interprete della situazione che, avverte inutili gli incitamenti all'ottimismo da qualunque parte vengano.
L'aspetto preliminare per tentare nuove vie è la fine sia dell'estremismo di sinistra sia della sua demagogia, una vera e propria sciagura genovese e italiana. Dopo si vedrà chi vuole davvero la rinascita attraverso le riforme vere e proprie.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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