«Per creare gioielli in filigrana bisogna avere abilità manuale, esperienza maturata nelle botteghe artigiane e buone doti artistiche». Spiega Giulio Goslino, esperto filigranista. Gli attrezzi, invece, non sono molti: servono pinze di diverse dimensioni, le «bruscelle» simili alle presselle di varie misure e per finire occorre un cannello alimentato a gas per saldare sulla piastrella le figure realizzate con i fili d'argento. Non bisogna dimenticare anche una serie di attrezzature che servono per fondere e vergare l'argento e ridurlo in fili sottili.
La prima lavorazione consiste nel fondere l'argento grezzo e trasformarlo in lunghe «canne». Per avere buona malleabilità le asticelle si riscaldano alla temperatura di fusione e si trafilano facendole passare in piastrine forate con diversi diametri per ottenere fili di sezioni di 2 mm circa. L'operazione successiva è la torcitura, che permette di unire in una treccia due distinti fili d'argento, realizzando così il «filo granato». Si passa poi al laminatoio a rulli piatti, che uniforma il filo granato dandogli l'aspetto dentellato e granuloso tipico della filigrana. Ottenuti i fili, l'artigiano sagoma con essi il perimetro dell'oggetto da realizzare, chiamato in gergo «lo scafo», che viene poi riempito con minutissime forme e strutture chiamate rizzetti, panetti, resche, ecc. costruiti con l'abile impiego delle pinze «bruscelle» che aiutano la lavorazione prettamente manuale del filogranato. Questa operazione si chiama «riempitura» e si realizza sulla piastrella in ceramica chiamata «ciapêla».
Si giunge così all' assemblaggio e rifinitura della figura che consiste in un processo di rinforzo dei singoli pezzi e rifiniti attraverso una fase di imbiancatura che rende lucidi i monili realizzati. «La preziosità di questi oggetti è il frutto di una minuziosa e paziente lavorazione manuale.
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