Il «profondo rosso» dell'economia ligure

Sono sempre puntuali e particolarmente documentate le informazioni sull'economia ligure fornite a cadenza semestrale dalla sede di Genova della Banca d'Italia, utili soprattutto per individuare la tendenza all'evoluzione dello scenario e, diciamolo pure, possibilmente incoraggiare una visione meno pessimistica, se non addirittura ottimistica della situazione. È quasi una pretesa, ingenua finché si vuole, ma comprensibile, quella di strappare uno spunto, una promessa, o almeno un auspicio a scorgere la cosiddetta « fine del tunnel». Ma per quanti sforzi facciano, pur nel rigore asettico e inesorabile delle cifre, sia Letizia Radoni, direttore della sede genovese dell'istituto di vigilanza, sia il suo braccio destro Enrico Beretta, dell'Ufficio analisi economica di Bankitalia, la sintesi nuda e cruda dei dati macro e microeconomici locali è una sola: siamo precipitati in una condizione di recessione, e continuiamo a precipitare. «Ma guai a rassegnarci!» ammoniscono comunque entrambi. Che citano a memoria un'inesauribile messe di statistiche e diagrammi per giustificare il loro «pensare positivo», nonostante tutto.
Ecco perché, nel quadro dell'economia della Liguria presentato ieri, si preferisce puntare sugli spiragli, pur timidi, di ripresa, del resto annunciati per fine anno - come ricorda la stessa dottoressa Radoni - dal governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, nelle recenti «considerazioni finali». In sostanza: crescono un poco le esportazioni (concorrendo al sostegno dei livelli produttivi, anche se restano inferiori a quelle del 2011) e i traffici di container (ma a fronte delle lievi diminuzioni registrate dai porti spagnoli e francesi del Mediterraneo e da quelli del Nord Europa). Qualche prospettiva migliore - avverte poi Beretta - sembra delinearsi a Genova e, più in generale, in Liguria nell'ambito del ricorso all'innovazione, e quindi nella capacità delle imprese di innovare i prodotti, i processi produttivi e gli assetti organizzativi e gestionali «che rappresenta uno stimolo importante per la crescita di un sistema economico». Gli indicatori dimostrano che in questo campo le imprese devono ancora fare molta strada, ma è altrettanto vero che in una regione dotata di numerose attività dell'hi tech, gli spazi di incremento ci sono e possono concorrere ad assecondare la ripresa.
Per il resto, la Liguria conferma di non discostarsi troppo dalla media nazionale, anche se «da noi i fenomeni del ciclo economico si verificano tradizionalmente con un certo ritardo rispetto al resto del Paese». Dunque, solo per citare i dati più significativi: sono stati circa 13mila i posti di lavoro persi nel 2012, con una flessione del 2 % rispetto al 2011, superiore a quella registrata in Italia; il calo si è concentrato nei lavoratori autonomi e nei dipendenti con contratto a tempo determinato. A risentirne maggiormente, i giovani tra i 15 e i 24 anni, per i quali il tasso di disoccupazione ha superato il 30 per cento. La crisi ha investito «democraticamente» tutti i settori, determinando un calo di fatturati, ordini, investimenti, consumi e transazioni immobiliari. Le imprese industriali hanno registrato un crollo di ordinativi e fatturato e hanno registrato un marcato rallentamento rispetto al già molto negativo 2011. Ancora più difficile la situazione per le piccole imprese: al calo della domanda si sono associati problemi di liquidità e tensioni nelle condizioni di finanziamento bancario.

Né meglio è andato il turismo: i flussi sono calati del 4,7 per cento, soprattutto nella componente nazionale. A questo punto, verrebbe da dire, la fiducia è un dovere, prima ancora che una considerazione razionale. Almeno, proviamoci.

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