Quando dalla coppia nasce il progetto di un omicidio

Quando dalla coppia nasce il progetto di un omicidio


Elena Nani

Quante coppie assassine hanno segnato la cronaca nera della nostra Regione? Agiscono quasi esclusivamente per eliminare chi, realmente o solo nella sua immaginazione, impedisce ai due amanti di stare assieme. La cronaca nera registra anche casi in cui la coppia è costituita da soggetti molto giovani, anche minorenni, casi che spiccano per l'efferatezza dell'omicidio e nei quali la vittima non è un marito o un amante che ostacola la relazione, ma spesso un genitore. Qualche esempio? Il delitto dei fidanzatini killer ha luogo ad Arma di Taggia, Imperia, nel 1992. La vittima, Giuliana Beghello, viene trovata seminuda sul letto di casa, uccisa con un martello. L'omicida è Renato Cominelli, 24enne fidanzato della figlia quindicenne della vittima. Cominelli, già separato e con una figlia piccola, fa il giostraio e secondo quanto riportarono le cronache dell'epoca, ha ucciso la vittima in concorso con la fidanzatina, figlia della Beghello. L'omicida viene condannato a 21 anni di reclusione.
Celebre e indimenticabile nella sua tragicità fu il delitto di Novi Ligure. Il 21 febbraio 2001 Erika ha 16 anni e, in concorso con il fidanzato Omar, 17 anni, uccide premeditatamente con un coltello da cucina la madre Susanna Cassini e, forse perché diventato un testimone scomodo, il fratellino undicenne Gianluca. I due fidanzatini, dopo aver inferto ben 97 coltellate a madre e fratellino, cercano di lavare il sangue e le armi per nascondere le impronte. All'arrivo delle forze dell'ordine, Erika racconta di una rapina ad opera di extracomunitari poi finita in tragedia, ma questa ipotesi perde consistenza fin da subito. Infatti, nessuna porta o finestra della casa mostra segni di effrazione, le armi usate per uccidere le vittime appartengono alla famiglia, e nessun oggetto di valore è stato sottratto dall'abitazione. Solo in base ad alcune registrazioni ambientali è possibile capire con certezza chi sono gli autori di un delitto tanto efferato. Tra il 22 e il 23 febbraio, nell'anticamera della caserma dei carabinieri, Erika e Omar, soli e ignari delle telecamere e microspie installate, confessano involontariamente l'omicidio, parlandone tra loro. Verso le 18 del 23 febbraio 2001 i due fidanzatini vengono posti in stato di fermo e quindi condotti nel carcere minorile «Ferrante Aporti» di Torino.
Da questo momento, i due si rinfacceranno a vicenda la responsabilità di quanto avvenuto, sebbene i rilievi dei Ris di Parma ricostruiscano che entrambi hanno partecipato in eguale misura agli omicidi.
I due imputati non hanno mai spiegato chiaramente lo svolgimento dei fatti né il movente, sebbene nel corso delle indagini sia poi emersa una certa conflittualità tra Erika e la madre: si trattava principalmente di litigi causati da scarso rendimento scolastico della ragazza e dalla sua frequentazione con Omar, che la madre disapprovava, nonché dal timore che facessero uso di stupefacenti, circostanza in effetti confermata.
Il 14 dicembre 2001 Erika De Nardo e Omar Favaro sono stati condannati dal Tribunale per i minorenni di Torino rispettivamente a 16 e 14 anni di reclusione, condanne confermate dalla Corte di Appello di Torino nel 2002 e infine dalla Corte di Cassazione nel 2003. L'attenzione dei media, vivissima all'epoca dei fatti, a causa dell'efferatezza dei due delitti e della giovanissima età degli assassini, non è diminuita anche dopo la conclusione del processo. Il 3 marzo 2010 Omar è uscito di prigione grazie all'indulto e agli sconti per buona condotta di cui ha fruito. Il 5 dicembre 2011 è stata disposta la scarcerazione di Erika la quale, dopo aver conseguito la laurea in Lingua e Letteratura Italiana nel 2009, ha dichiarato di volersi rifare una vita, costruendosi anche una famiglia.
La Mantide della Lunigiana. Il caso più recente di coppia assassina è quello che si è registrato nel novembre del 2007 tra le province di La Spezia e Massa Carrara. La vittima è Maurizio Cioni. Responsabili dell'omicidio sono Clara Maneschi, seconda moglie quarantatreenne della vittima, e Giordano Trenti, amico al quale lei confidava i suoi problemi con il marito, a suo dire un uomo violento, verso il quale però non ha mai sporto denuncia.
All'alba del 17 novembre Cioni esce per andare a caccia senza fare più rientro a casa. La moglie denuncia preoccupata la scomparsa ai carabinieri. Iniziano le ricerche e il giorno dopo l'auto dello scomparso viene ritrovata da un suo amico, Giordano Trenti, anche lui un cacciatore. A pochi metri di distanza viene ritrovato anche il corpo senza vita di Maurizio Cioni. È stato ucciso da un pallettone per cinghiale, che lo ha colpito vicino al cuore. Tutto farebbe pensare ad un omicidio colposo, un incidente di caccia, se non fosse che quella non era giornata di caccia al cinghiale. Dopo otto giorni dal ritrovamento di Cioni, però, proprio Giordano Trenti si toglie la vita, sparandosi con un fucile, diverso da quello dell'omicidio, e lasciando una lettera ai suoi familiari in cui, tra l'altro, dice di non sapere chi ha ucciso l'amico ma di non sopportare più quello che è successo. Secondo gli inquirenti è stato l'estremo tentativo di difendere Clara Maneschi, di cui era innamorato. La donna si dichiara all'oscuro degli intenti di Trenti, di cui lei non ricambiava le attenzioni. Dalle indagini emerge, però, proprio la sera precedente l'agguato mortale è stata lei ad avvertire il Trenti che la mattina successiva il marito sarebbe andato a caccia. Giudicata con rito abbreviato, Clara Maneschi è stata ritenuta colpevole d'omicidio volontario in concorso e condannata a 15 anni di reclusione ed a una provvisionale di 400 milioni da versare alle parti civili, il Pm aveva chiesto 30 anni di carcere. La condanna è stata poi confermata dai Giudici della Corte d'Appello di Genova.
Il delitto di Stella.
Alle 9 del mattino del 4 luglio 1976, dopo essere scampato nei mesi precedenti a ben due maldestri tentativi d'omicidio, il trentacinquenne Luciano De Lipsich, agente immobiliare, uscendo dalla propria villetta di Stella San Giovanni, per recarsi al lavoro, viene raggiunto mortalmente dai tre proiettili sparati da Giacomo Manconi. Ad assistere all'accaduto è Francesca Grasso, 29 anni, moglie della vittima da dieci anni, che subito allerta i carabinieri i quali, dopo appena due giorni d'indagine, faranno scattare le manette ai polsi a lei e Manconi. Il Nucleo investigativo di Savona, infatti, accerterà che il vero ruolo svolto dalla Grasso non fu quello di spettatrice bensì di ideatrice e mandante, assieme al suo amante Adriano Pagliano. Questo, come gli altri protagonisti della vicenda, nella quale risulteranno coinvolte a vario titolo ben undici persone, verrà arrestato nei giorni seguenti.
Tre furono i moventi del delitto: l'idea ossessiva della Grasso di liberarsi del marito, diventato d'impaccio ai suoi giochi erotici, benché lo stesso fosse a conoscenza dei contatti di lei con giornali d'annunci per soli uomini, la prospettiva di cominciare una nuova vita insieme a Pagliano; la prospettiva di entrare in possesso di una buona fortuna economica, legata alla polizza sulla vita del marito, con un premio di trecento milioni di lire, stipulata dalla Grasso falsificando firme e certificati medici.
Prima dell'agguato mortale, la coppia assassina nei due mesi precedenti aveva già provato ad ammazzare De Lipsich. A maggio, l'incarico era stato affidato a Donato Ferrara, pagato 500 mila lire, che però delegò il compito ad altre due persone, che si spartirono la somma senza però riuscire a far sbandare, tamponandola, l'auto dell'uomo che, spaventato, riuscì a rifugiarsi in casa, raccontando l'accaduto alla moglie. A giugno, invece, fu la volta di Roberto Coppola che, atteso il rientro di De Lipsich gli sparò diversi colpi di pistola, tuttavia, senza centrarlo. L'esito giudiziario di questa storia vide la condanna all'ergastolo della Grasso, di Pagliano e di Manconi, nonché la reclusione, per periodo differenti, per tutti gli altri soggetti coinvolti. Uno di questi, durante il processo, recriminò alla Grasso i trentacinque milioni pattuiti. Oggi sia la Grasso sia il Pagliano sono tornati in libertà. L'aspetto più inquietante di questa vicenda criminale è la semplicità con cui un gruppo di persone si prestò a collaborare con la coppia per uccidere una persona che nemmeno conosceva, in cambio di piccole somme e promesse di sesso.
Il caso Marchese-Orlando. Sempre nel 1980 ma qualche mese prima del delitto di San Martino, la cronaca nera genovese riporta di un'altra coppia assassina. Si tratta di quella formata da Orlando Marchese e Vincenza Santarelli. I due amanti uccisero la moglie di lui durante una gita in auto, gettandola da un viadotto dell'autostrada.

La vicenda, nata in un contesto di degrado sociale, si conclude con la condanna a 24 anni di reclusione inflitta a Marchese, mentre la Santarelli, riconosciuta seminferma di mente, è condannata a 7 anni e 6 mesi di reclusione, oltre a 3 anni di casa di cura. Muore il 17 dicembre del 1995, nel carcere di Pontedecimo.

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