Cronache

Quando l'arte sta dentro un cubo di specchi

Il ratto di Elena è lassù, sul soffitto del piano nobile di Palazzo di Negro in Banchi, ma è anche a portata di sguardo all'ingiù, orizzontale e laterale come ogni altro dettaglio dello spazio. Perché è questo e quindi la luce e l'architettura tutta, che qui è soprattutto il respiro storico, mitico e immaginifico del grande affresco, a essere il fulcro dell'opera di Mariana Castillo Deball. Siamo alla Fondazione Garrone (Via San Luca 2) dove fino al 23 novembre è in corso la mostra «Trinomial Cube» (ore 16-19: ingresso libero). Ma è meglio parlare di opera, e ancor più d'intervento site-specific perché pensato ad hoc per questo straordinario spazio. L'artista (Città del Messico, 1975) ha portato qui, in scala ambientale, un cubo trinomiale - un modello didattico del metodo Montessori - scomponendolo e specchiandone alcune facce. Così, come i bambini imparano algebra e autonomia col cubo tra le mani, noi grandi con questo «Cube» in versione extra large possiamo concentrarci meglio su spazio e percezione. «L'oggetto-opera, grazie alla superficie specchiata, contiene lo spazio ma vi è contenuto a sua volta» spiega Antonella Berruti di Pinksummer, che lo scorso anno ha presentato una personale dell'artista in galleria. Lei, capelli lunghi neri e un cv internazionale sulle spalle, spiega di essere interessata alla «matematica sperimentale, che è un modo di pensare, esattamente come la filosofia» e di come questo sia il secondo atto di un progetto iniziato a «documenta», kermesse quinquennale tra le più importanti. Là aveva realizzato una grande scultura reinterpretando la scagliola e «Black Box», una sorta di «lente» per dar voce agli oggetti dall'uso ormai ignoto del Gabinetto di Astronomia e Fisica di Kassel. Qui, nel dispositivo realizzato a Genova, dovevano esserci oggetti della Fondazione ma «il confronto con l'ambiente ha dettato un cambiamento: lo spazio è diventato protagonista assoluto». Così ha preso corpo questo caleidoscopio e lo stupore, come in un pozzo, di ammirare i dettagli dell'affresco con il naso all'ingiù. Una ricerca, quella dell'artista, «che opera sulla conquista dell'autonomia, dell'indipendenza di giudizio, perché solo quando si riescono a guardare gli oggetti per quello che sono e non per come sono presentati - il problema, da sempre, della collezione e prima di sguardo e cornice - si può ascoltare anche il non umano, l'oggetto scomodo» manipolato, da cui il progetto «Uncomfortable Objects» cui questa mostra appartiene.

Abdichiamo allora al soggetto intorno a cui tutto si conforma e lasciamo che lo sguardo si eserciti oggi sullo spazio e sulla permutazione dell'oggetto in cosa.

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