Quell'antica friggitoria che cucina la tradizione

di Ferruccio Repetti

Entri e lo vedi bene, quello che stanno cucinando, e soprattutto come lo stanno cucinando, nell'«Antica Friggitoria Carega». Ma a distrarti subito, tu che non sei uno dei clienti abituali, è quella cucina a carbone che ha più di cent'anni di onorato servizio, ma è tirata perfettamente a lucido: la brace sotto, la padellona sopra. In cui imbiondiscono anelli di calamari, totani, paranza e tutta la gamma del pescato cosiddetto povero, in realtà di sapore sontuoso d'arziglio. Lì, subito accanto, c'è il forno a legna, da cui escono torte di bietole e carciofi, la classica «pasqualina», ma anche farinata e pizza.
«Noi, però, sia chiaro, siamo nati come friggitoria» spiega Andrea che di cognome fa Carega e di nome fa proprio come il nonno, «u Dria», capostipite di tanta grazia. Che inaugurò l'attività qui, a Sottoripa, a due passi dal porto storico, oggi nobilmente ribattezzato Porto antico. Era il 1942. Racconta l'attuale Andrea: «Vicende di guerra. Era andata distrutta la friggitoria aperta da mia bisnonna Giuseppina a Pré. E allora il nonno s'è messo in testa di riaprire davanti alle banchine dello scalo. C'è rimasto, a lavorare, fino al 1988, ma nel frattempo sono subentrati, di volta in volta, mio papà Giuseppe, lo zio Luigi e, finalmente, anche il sottoscritto». Con la stessa manìa (benedetta manìa): «Mi diceva sempre, il nonno: La pulizia è la prima cosa, bisogna avere sempre lo straccio in mano. E noi abbiamo sempre fatto così». Non basta: anche l'olio dev'essere quello giusto, «e diverso - fa sapere Andrea - per ogni cottura di pesce».
Tanto che, sulle mensole, fa bella mostra una panoramica di contenitori d'olio. Sarà anche per questo, belin!, che Carega è la prima friggitoria che non ti appiccica l'odore di fritto ai vestiti! Neanche se ti fermi a sbocconcellare o gustare qualcosa di più impegnativo, preparato al momento - polpo fumante condito con olio e limone, baccalà alla livornese, nasello a trance, pignolini, le acciughe che non mancano quasi mai, il polpettone che non ha la minima traccia di bruciaticcio in superficie -, e se decidi di sistemare il piatto e le posate su quei dieci centimetri di appoggio che hanno ricavato acrobaticamente nella parete.
E sì, perché lo spazio è quello che è: poco. Ci sta la cucina, certo, ci sta il forno e ci stanno - ma non si capisce come fanno a starci tutti - quei cinque compagni d'avventura di Andrea: la cugina Laura, e poi Sandro, Gianni, Roberto e Ciccio. Calmi e tranquilli fino alle 11, diciamo anche alle 11 e 30 del mattino. Poi comincia la «danza»: frenetica, anche se a gesti collaudatissimi, per mettere in vetrina le specialità della casa. Di alcune abbiamo detto, ma ne confezionano anche altre che sono, così per dire, altrettante leccornìe della migliore genovesità in cucina, come le frittelle di baccalà e l'ormai introvabile (altrove) insalata «Savoiarda» con acetelli e polpo.
Pare un campionario soprattutto per buongustai d'antan, terza e quarta età, gente che ha un occhio di riguardo per la nostalgia del bel tempo che fu... «Niente affatto - ci tiene a precisare subito Andrea -. Qui ci viene un mucchio di giovani, e anche giovanissimi. Scolaresche intere. Che, magari consigliate da genitori e insegnanti, non si lasciano condizionare dalle merendine tanto pubblicizzate. Dovessi dire, si pappano anche polenta e lumache che prepariamo in stagione, che sono tutt'altra cosa delle patatine comprate al supermercato!».
Certo, la tradizione è importante, e per qualcuno pesa: «Lo ammetto - fa il Carega di oggi -: c'è sempre qualcuno che ha una certa età e entra con un ragazzo e gli dice: Vedi, qui mi ci portava il nonno, a mangiare il fritto misto. Sì, è bello che la tradizione continui, anche con le generazioni più giovani». E intanto Andrea non perde di vista il punto di cottura: il fritto è chiaro, niente da spartire con quelle «cose» nere che escono dalle friggitrici industriali e ti fanno sentire, più che altro, l'amaro in bocca (anche in certi ristoranti stellati).
Arriva l'ora del pasto meridiano, e comincia, come ogni volta, dal martedì al sabato, la fila di clienti. Uno entra, ma di più non ce ne stanno. Gli altri aspettano fuori, fanno la fila e intanto si consolano «tirando su» dalle narici quel profumo di mare. «Abbiamo avuto dei problemi - fa ancora Andrea -, solo all'epoca delle Colombiane, per via dei lavori in corso. Qui davanti era tutto un cantiere. Poi, però, abbiamo riconquistato la fiducia della clientela. Anche di chi viene una volta, per caso o per il passa parola, ma poi torna».

A scoprire e ricoprire il gusto di una tradizione genovesissima che si rinnova. Che è un pezzo di storia, dunque, anche se non ci pensi su - e ci credo! - quando metti in bocca la fragranza del pescato, fritto in quella cucina centenaria.

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