di Vittorio Sirianni
Due settimane fa. Una telefonata: «Ciao, Vittorio, sono Gigi, come va? Sei già in vacanza?». «Ciao, Gigi, no, sto partendo!». «Hai qualche idea per settembre? Non potremmo riprendere la televisione?». «Gigi, ci ho già pensato. Sentiamoci a settembre, ricordi i grandi Peccati..?». È stata l'ultima volta che ho sentito la voce di Gigi Rizzi, un amico davvero.
Lo conoscevo da cinquant'anni o giù di lì. Dai tempi del Lido, del «Baretto»: per lui, per Franco Rapetti, per Beppe Piroddi il ritrovo dei trasgressori e punto di partenza per ogni scorribanda. Erano gli anni più ruggenti, come ricordava Gigi, di lì Fabrizio De André lanciava i suoi anatemi contro il conformismo ed esaltava le donne da marciapiede che tanto «lo affascinavano». Paolo Villaggio, impiegato alla Cosider, faceva ridere tutti sperimentando le gag di Fantozzi.
L'amicizia con Gigi si è cimentata in questi ultimi anni, quando insieme decidemmo di realizzare una delle più «inquietanti» trasmissioni televisive che molti ancora oggi ricordano: «Peccati».
Negli anni Sessanta seguivo le sue vicende, ma solo come cronista, solo negli anni Duemila diventammo davvero amici. Gigi era un eccezionale affabulatore, piacevole, divertente, «bucava il video» come si diceva. Ad ogni «peccato» che raccontavamo lui aveva sempre spunti e soprattutto «ricordi». Perché, come mi diceva spesso: «Io sono un vero peccatore, è la cosa più bella del mondo».
Quanti racconti, mentre preparavamo il copione e la «scaletta» del programma! «Aveva 14 anni - mi raccontò un giorno - si chiamava Cochi e baciava da dio. Io facevo la quinta elementare e questa ragazzina mi portò sott'acqua con le labbra incollate alle mie... A undici anni sentivo degli strani impulsi...».
E la storia dell'istitutrice, nel lontano '58, che si chiamava Mariarosa? Tre ore di racconto: «Era giovane - mi sorrideva sornione Gigi - bionda, magrina, grandi occhi azzurri, occhiali da miope. Alla sera avevamo istituzionalizzato il bacio della buonanotte e una volta mi sfiorò le labbra. Poi la notte della festa di compleanno di mia sorella Maria Teresa, si lasciò andare...».
Gigi era trasparente, sincero, amava la buona compagnia. E il suo ritorno in televisione, a Genova, ormai giunto sulla sessantina, lo aveva riempito di gioia, di entusiasmo.
Era nato il 23 giugno del '44 (curiosa coincidenza), anni di guerra. Lo battezzarono a Villa Maria, a Mucinasco di Piacenza, nella vecchia casa di famiglia sotto le bombe degli alleati.
Nell'immediato dopoguerra si trasferì a Nervi dove i suoi avevano passato le vacanze. Genova divenne la sua città, il suo grande amore. Poi dalla Lanterna la sua storia si è dipanata tra il «Carillon» di Paraggi, sempre al tavolo di Paolo di Robilant e Gualtiero dell'Orto (dove s'innamorò di Gloria Ferri, «una donna che prendeva quello che vedeva»), al «Number One» di Milano, l'approdo della sua «full immersion» nel mondo della notte. Insieme a Beppe Piroddi, inseparabile compagno d'avventura, lanciò praticamente «la discoteca» che aveva avuto il «boom» in Francia e in Inghilterra. E furono loro due a lanciare uno straordinario ballerino di nome Teo Teocoli. Nel triangolo Milano-Portofino-Saint Tropez si erano intrecciati amori e amicizie, nascevano gli «Italiani play-boy» che avrebbero distrutto la... dignità maschile dei francesi.
Potrei continuare, le storie di Gigi riempivano i nostri incontri: nomi, donne, amici, case patrizie, anche spinelli, il Piper, la Roma peccaminosa, Porfirio Rubirosa, le sue donne, ma soprattutto quella che gli rimase «dentro», Veruska «solo immagini, nessuna parola, un solo personaggio, Lei». Come ha scritto nel suo libro di ricordi.
Se n'è andato davvero un amico.
«Hai qualche idea per settembre?». La risposta a quella domanda chissà mai se riuscirà a sentirla...
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