(...) in un armadio di ricordi non fini a se stessi, ma in una specie di salvadanaio di tutte le vostre esperienze: penso, in particolare, alla lettera di una nostra lettrice, la signora Mirca Stefanini, che ci ha regalato le immagini della sua gioventù, i discorsi sulle panchine di piazza Palermo o sulle cartolaie di via Barabino, i ghiaccioli con la scritta «hai vinto», i cinema parrocchiali con le sedie che cigolavano...
Il tutto, senza toni reducistici o accenni luddistici, pronti a smontare i vantaggi del progresso. Ma, molto semplicemente, con la voglia di valorizzare i propri ricordi e di regalarli agli altri per condividerli o tramandarli. Perchè proprio questo succede: quando a scriverci sono signori e signore maturi, da un lato, ci scrivono loro coetanei per condividere, arricchire o confutare. Ma non mancano i ragazzi che chiedono particolari, confronti, rassicurazioni, altre storie.
Insomma, anche dalle pagine del Giornale filtrano quei sapori e quei profumi di cui ci scrivete nei pezzi. E, a fianco delle notizie di cronaca, rivive un mondo. A volte in bianco e nero, a volte color seppia, ma sempre con i sapori straordinari e forti di chi si racconta anche per non essere cancellato senza aver fatto nulla per meritarselo.
Come se questo giornale fosse uno studio della scuola delle Annales, un saggio storiografico di Fernand Braudel, Marc Bloch, Lucien Febvre, Henri Pirenne, Jacques Le Goff, François Furet o Georges Duby, di tutti coloro che ci hanno insegnato ad amare la storia come storia quotidiana e sociale, geografica e agraria, antropologica e gastronomica. La storia mirabilmente cantata da Francesco De Gregori, «la storia siamo noi, questo chicco di grano».
Non so se tutto questo rientri tra i compiti istituzionali di un giornale destate, fra un articolo su miss maglietta bagnata ed un altro sul caldo. So solo che siamo orgogliosi che tutto questo succeda su questo Giornale. Grazie.
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