Se anche i teatranti più bravi si meritano una stroncatura

Se anche i teatranti più bravi si meritano una stroncatura

(...) in questi giorni da due amici. Due amici personali (e vabbè, chissenefrega, potrebbe dire giustamente qualcuno), ma anche due uomini di teatro che sono i migliori a Genova e pure in Italia, o almeno fra i migliori, nell’alto dei cieli dei palcoscenici: il direttore del teatro Stabile Carlo Repetti e Giorgio Gallione, regista e anima dell’Archivolto insieme a Pina Rando.
Pensate che, nei loro confronti, io ho un pregiudizio assolutamente positivo. Repetti mi piace persino come romanziere (il suo primo libro, pubblicato da Einaudi, è un gioiellino che consiglio caldamente) e ha un tratto si signorilità davvero raro e apprezzabile. Di Gallione penso che sia uno dei migliori registi italiani, certamente uno dei più identificabili, con una propria passione e identità, e uno capacissimo di usare gli attori. Figuratevi a vederli lavorare insieme, con una collaborazione fra i due teatri, in un mondo come quello del palcoscenico dove ognuno è geloso delle sue virgole. Per non dire dei punti.
Insomma, c’erano tutte le premesse perchè Ciò che vide il maggiordomo, il testo di Joe Orton in scena in queste settimane al teatro Duse, potesse essere davvero uno di quegli spettacoli che lascia il segno. E devo dire che la reazione del pubblico genovese è stata adeguata: esaurite tutte le recite, addirittura aggiunto un bis domenicale per accontentare tutti coloro che non riuscivano a trovare i biglietti, critica entusiasta a testate unificate, pure noi con la nostra Francesca Camponero (e ci mancherebbe altro che non gliela pubblicassimo, il bello della critica è che è soggettiva).
Addirittura, l’altra sera, al Duse, mi è capitato di vedere decine di persone mandate via dalla biglietteria perchè non c’erano più posti. Una scena che, comunque, riconcilia con il teatro e, fra l’altro, fa il paio con i pienoni dell’Archivolto in giro per l’Italia che hanno portato lo stabile d’innovazione genovese a vincere addirittura il Biglietto d’oro destinato agli spettacoli che fanno i migliori incassi, e all’aumento «contenuto, ma molto significativo degli spettatori dello Stabile rispetto allo scorso anno», straordinario in un momento di crisi. Insomma, la dimostrazione che il brivido dell’impopolarità non deve necessariamente far rima con cultura. Anzi.


Eppure lo spettacolo - di cui si salvano solo alcune scelte registiche di Gallione e la bellissima scenografia di Guido Fiorato, con i tulipani e le radiografie che diventano palcoscenico - è quanto di più brutto mi sia capitato di vedere recentemente: mal recitato da Ugo Dighero e soci, mal scritto e vecchio di uno stantio che dimostra molto più dei 45 anni passati dal 1967 in cui è stato scritto. Si ride poco e male. Si sbadiglia meglio.
Fortunatamente, al Duse, la prossima settimana va in scena Kohlhaas di Marco Baliani, uno degli spettacoli più belli di sempre. Per disintossicarsi.

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