Via Giacomo Moresco, una strada della grande Genova che corre parallela al Bisagno, di lato si scorge un muraglione grezzo di colore grigio, con un cancello metallico, sulla parete, noto una lapide rettangolare su cui appare una scritta e inferiormente sei fotografie ovali, sotto la lastra un vasetto con dei fiori di plastica.
La scritta enuncia «nella lotta per le rivendicazioni sociali, per migliorare le loro misere condizioni di vita, mentre chiedevano pane e lavoro caddero barbaramente uccisi in Modena il 9 gennaio 1950», seguono i nomi dei sei morti.
Cosa ci fa una lapide che commemora sei morti ammazzati a Modena, proprio a Genova sul Lungo Bisagno? Un cognome, in particolare, mi incuriosisce: Malagoli Arturo. Il nome o meglio il cognome non si sono nuovi e così inizio una piccola ricerca che subito soddisfa la mia curiosità e che mi porta ad incrociare uomini eccellenti del vecchio Partito Comunista, vecchi legami di sangue dimenticati e purtroppo negati, amori extra coniugali e tristi morti in solitudine.
Ecco la storia: nel gennaio del 1950 a Modena, città militante comunista per eccellenza, avvengono violente dimostrazioni di piazza delle maestranze delle Acciaierie Riunite Modena, di proprietà di Adolfo Orsi.
Da giorni le vie cittadine sono occupata dagli operai, affiancati da molti «agit prop» comunisti, che protestano contro il ridimensionamento delle risorse umane nelle acciaierie. Nel corso di queste manifestazioni i Reparti della Celere e i dimostranti arrivano a conflitto, la polizia in inferiorità numerica è costretta ad aprire il fuoco, sei operai in diversi momenti muoiono, altri sono feriti. I sei morti di Modena, sono proprio quelli raffigurati nelle foto della lapide.
Gli scontri di Modena sono una tragedia a livello nazionale, che viene subito strumentalizzata dal fronte social comunista: Palmiro Togliatti, «il Migliore», piomba a Modena e con attorno i notabili del Partito, partecipa ai funerali che si svolgono di fronte alle folla mobilitata dalla Federazione Provinciale Comunista di Modena, ovviamente stigmatizza l'operato della polizia e del Governo Democristiano, mostra la faccia feroce, fa la voce grossa, minaccia, arringa la gente in piazza. Poi visita i morti nella camera ardente e porge le sue condoglianze alle famiglie e alle vedove.
In quella occasione Togliatti incontra i parenti dei caduti che assurgono al rango di eroi nella lotta contro i Celerini, che «difendono gli interessi dei capitalisti». Fra gli altri Togliatti incontra ed abbraccia, anche la vedova di Arturo Malagoli e ha modo di conoscere la figlia dell'ex partigiano, Marisa, una bimbetta di appena tre anni dai capelli biondissimi. Rimane colpito dalla bambina e decide di prendere con sé la piccola orfana a cui si affeziona moltissimo. Togliatti, in quel periodo, da circa due anni si era allontanato dalla famiglia per iniziare una relazione con la sua segretaria, anch'essa parlamentare, l'On. Leonilde Jotti.
Nel 1960 Togliatti, decide di adottare con tutti gli effetti legali, la piccola Marisa che ha tredici anni la quale da due lustri oramai, abita nella casa del Segretario del Partito Comunista a Monte Sacro, come se fosse di famiglia. Questo il lato edificante della storia del gesto di Togliatti, della piccola orfana e della sua adozione. Ma c'è un altro lato della storia, un po triste, che per completezza, bisogna conoscere.
Togliatti era sposato in precedenti nozze con Rita Montagnana da cui, ebbe un figlio, Aldo con cui ebbe scarsissimi contatti, soprattutto dopo che si rifece una famiglia con l'On. Jotti e successivamente con la piccola Marisa che inconsapevolmente prese il suo posto, nel cuore del «Migliore».
Aldo Togliatti nacque nel 1925 a Roma. Trascorse l'adolescenza a Parigi, poi nel collegio sovietico di Ivanovo, alle porte di Mosca, dove i genitori lo lasciarono nel 1936 per andare in Spagna dove era esplosa la guerra civile. Andò poi a Torino con la madre quando Palmiro Togliatti scelse di vivere con la Iotti e di non frequentare più la precedente famiglia.
Nel 1950 Aldo fu colpito duramente da una malattia mentale che si manifestò in tutta la sua gravità una diagnosi durissima: schizofrenia. Fu curato in Urss, Ungheria e Romania, dal 1957 tornò di nuovo a Torino.
Aldo Togliatti visse in grandi difficoltà. Fino a quando la federazione di Modena del Pci decide di «adottarlo» quasi nascondendolo al mondo, e Aldo Togliatti entrò a Villa Igea per essere curato: vi ha vissuto gli ultimi trent'anni, dal settembre 1980 in poi, in incognito, tutti ne avevano perse le tracce, era praticamente stato fatto sparire, forse per non mettere in imbarazzo il padre.
Nello schedario dei pazienti era indicato semplicemente con il nome, come a voler cancellare quel cognome troppo ingombrante e importante.
Nel 1993 i giornalisti della Gazzetta di Modena, lo trovarono e fecero un articolo molto umano sul caso, la direzione sanitaria della clinica, presa in contropiede, dovette confermare tutto.
La notizia del «ritrovamento» del figlio naturale di Togliatti, nel 1993 fece scalpore. La casa di cura fu stretta d'assedio dai giornalisti e dai curiosi, che volevano vedere l'uomo, figlio di cotanto padre , capo indiscusso del partito. Ci furono interrogazioni parlamentari, polemiche, lettere ai giornali e molte proteste di gente comune che accusò il Partito di oscurantismo e di agire per ragioni di stato, occultando il figlio malato del leader maximo agli occhi del mondo come se ne avesse vergogna.
Qualcuno disse che Aldo Togliatti era stato fatto sparire, cancellato dalla sua famiglia con l'aiuto dal partito. Sulla vicenda è uscito un libro («I figli di Togliatti» di Nunzia Manicardi nel 2002) e il drammaturgo Luigi Lunari scrisse nel 1997 un testo teatrale dal titolo «Nel nome del padre» approdata anche a Broadway («Our fathers»), dove il destino di Aldo Togliatti viene messo a confronto con quello di Rosemary Kennedy, la figlia ritardata del patriarca Joseph, che la fece lobotomizzare.
Ecco dove mi ha fatto approdare una lapide messa a Genova, in via Moresco di fronte al Bisagno.
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