Via Giovanni De Prà. Numero? Uno, naturalmente. È l'indirizzo della storia del Genoa, dello stadio Luigi Ferraris. De Prà, il portiere dei portieri rossoblù, il mito che Gigi Buffon «sognava a occhi aperti di diventare» quando saltava sui gradini della Nord. De Prà, il numero uno da cui partire, il giocatore che ha avuto «Il destino nelle mani». È l'eroe che volle donare alla sua porta, quella sotto la Gradinata Nord, la «sua medaglia più bella», cioè quella conquistata alle Olimpiadi del 1928 per il terzo posto ottenuto dall'Italia.
Molti sanno della cerimonia autorizzata dal consiglio comunale e del furto del prezioso cimelio, scoperto durante i lavori di ristrutturazione per i mondiali di Italia '90. Quello che probabilmente nessuno sa, è che quella medaglia Giovanni De Prà, l'ha dovuta aspettare 43 anni. Dal giorno del terzo posto, nel 1928, fino alla fine dell'agosto 1971, quando a casa del cavaliere Giovanni De Prà giunse una lettera firmata da Artemio Franchi, allora presidente della Figc, che lo pregava di accettare «una medaglia e un diploma per ricordare la Sua partecipazione alle Olimpiadi di Amsterdam». Una curiosità svelata da Luca De Prà, nipote del portiere simbolo del Genoa, che ha scritto un libro («Il destino nelle mani», appunto) insieme al giornalista del Corriere dello Sport Biagio Angrisani. Un libro, con prefazione di Gigi Buffon, fatto di aneddoti strappati alle soffitte e alle valigie impolverate e ai ricordi di nonna Maria e papà Guido.
Già, nonna Maria. La colpevole di quella medaglia a scoppio ritardato. «Quando venne convocato per le Olimpiadi - ricorda il nipote Luca - il nonno era stato costretto a saltare il viaggio di nozze. E allora aveva posto una condizione per accettare la chiamata di Vittorio Pozzo: sua moglie avrebbe dovuto partire con lui, essere ospitata a Casa Italia. Una follia per il tempo. La Federazione, per avere De Prà in porta, accettò, ma si sarebbe vendicata ben presto, non consegnando appunto la medaglia. Ma di mia nonna, unica donna ospitata a Casa Italia, ho trovato le foto sugli spalti dello stadio nel giorno della conquista del bronzo olimpico».
Curiosità, ma anche autentici pezzi di storia del calcio. Perché Giovanni De Prà è stato uno dei precursori dei portieri di oggi. Lui mica stava in porta ad aspettare il pallone. Lui aggrediva l'area, usciva alto. Un rivoluzionario dei guantoni. «In questo senso fu fondamentale l'esperienza avuta con Scott, il portiere del Liverpool - racconta oggi Luca, nipote d'arte con esperienze in C1 alla Nocerina e attuale preparatore dei portieri della Primavera del Genoa -. Il collega inglese aveva già affinato questa nuova impostazione e si scambiarono suggerimenti». Ma De Prà è anche il portiere che inventò le barriere doppie, con due uomini a coprire il primo palo e due a coprire il secondo. Un metodo tornato d'attualità con l'arrivo in Italia di Zico e delle sue prime punizioni imparabili. «Un modo per vedere meglio la palla partire, ma che oggi, con palloni leggeri e tiri potentissimi non va più bene», spiega Luca. Che aggiunge anche come le uscite alte di nonno Giovanni erano qualcosa di fuori dal comune: «A quel tempo il fallo sul portiere non esisteva, le cariche erano la normalità e lui di botte ne ha prese tante». Storica la sfida con Zamora, «el divino», il portiere spagnolo che affrontò più volte in nazionale. A Milano ci fu un'amichevole, per così dire. De Prà restò in campo con ematomi, tagli alla testa, i segni di tacchetti ovunque e di gomitate alla nuca. All'ultimo salvò la porta e finì zero a zero, la vittoria dei due portieri più forti. Gli venne consigliato il ricovero, preferì un sedativo a base d'oppio, tornò in albergo e partecipò alla cena della Federazione.
E il De Prà in versione nonno? Quell'uomo che vendeva mobili per mandare avanti la famiglia, visto che in carriera rifiutò offerte da tante squadre per restare dilettante e soprattutto genoano? Il campione che al conte Marone Cinzano, presidente del Torino, che gli sottopose un contratto con la cifra in bianco, da scrivere, rispose: «Sono genovese, genoano e tale resto»? "Di lui ricordo tante cose splendide, ma ho anche un aneddoto calcistico - svela Luca De Prà -. Iniziai a giocare in porta quasi per caso. A quattordici anni ero troppo alto e sgraziato per fare l'ala sinistra. Mi spedirono in porta, l'anno dopo giocai titolare in prima squadra nel Quinto. Mi notò la Sampdoria e mi chiamò per un allenamento. Poi, l'anno successivo, mi chiamò per iniziare la stagione. Dovevo dirlo a mio nonno, ero preoccupato. Lui era già in clinica, malato. Trovai il coraggio, lui non si scompose, mi disse di andare, che l'importante è sempre essere seri, leali, onesti». L'unica lezione che avrebbe potuto dare un giocatore che nella sua lunga carriera non venne mai né espulso né ammonito. Che aveva imparato i principi dello sport, prima che del calcio, sul polveroso campetto dell'oratorio della Spes, vicino alla chiesa dell'Immacolata in via Assarotti. A lui cercava di fare gol Gepi, Giuseppe Siri, che appena consacrato cardinale, nel 1953, celebrò in Curia la messa delle nozze d'argento di Maria e Giovanni, l'amico campione.
Un campione che non ha mai fatto l'allenatore dei portieri, perché doveva pensare alla famiglia. Ufficialmente. Perché quando il suo Genoa glielo chiedeva, lui c'era sempre. «Aveva trasformato il primo piano del negozio di mobili in un campo di allenamento - sorride Luca De Prà -. In tanti passarono di lì per consigli e per aiuti. E la società chiedeva spesso il suo parere per nuovi acquisti di portieri».
Impossibile raccontare ogni aneddoto.
Il destino nelle mani - Biagio Angrisani, Luca De Prà - ed. De Ferrari-Fondazione Genoa 1893 -110 pagg. - 16 euro
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