2 A QUEI TEMPI
Dalla «lippa» alle «grette»
sulla pista di «schincapelli»
Caro Dott Lussana, allora giù con i ricordi.
A differenza del Sig. Clavarino che, oggi sul nostro immancabile giornale, ricordando le mitiche «grette» giocava con Gimondi e Merckx io, di parecchi anni più anziano, giocavo con Coppi, Bartali, Magni, Bobet e Robic.
In Via Asiago la nostra pista si snodava, volutamente, sia sull'asfalto liscio che, ai bordi della strada, su quello più pietroso che noi chiamavamo «schincapelli».
Quando all'inizio qualcuno era in fuga la frase consolatoria, per chi inseguiva, era: «Vabbé tanto ci rivedremo agli schincapelli».
Si giocava per pomeriggi interi senza problemi di traffico... ed altro.
Quando poi da Milano, in vacanza a Genova, arrivava Giorgio detto appunto «milanin», si giocava alle bilie.
Prima alla «cilla» che era un foro nel terreno dove, partendo da lontano, si doveva imbucare la bilia con il minor numero di «bicellate»; quindi al «Papa» che consisteva nel porre le bilie, a distanza di quattro dita una dall'altra, facendo una fila verticale lunghissima (ognuno di noi ne doveva mettere 5 o 10).
Quindi da una decina di metri, secondo l'ordine di estrazione, ciascuno di noi lanciava una propria bilia; se ne colpiva una di quelle poste a terra guadagnava tutte quelle poste al di sotto. Se colpiva la prima, il Papa, le guadagnava tutte.
Poi si giocava alla «lippa» ai ««cavalli marci» e infine al pallone, se c'era, di gomma, diversamente fatto di giornali legati da uno spago.
Caro Dott Lussana, un plauso per un'altra bellissima idea.
2 NEGLI ANNI CINQUANTA
Quando c'era la siccità, ci sgridavano se lasciavamo la fontanella aperta
Ricordi Anni '50 (ultimi flashes poi passero' agli anni '60)
1.1) Levante sitibondo prima del nuovo sistema idrico del Brugneto. Solo i meno giovani ricordano le estati con poca acqua degli anni '50 quando le poche sorgenti non bastavano a soddisfare il fabbisogno idrico dei piccoli centri che avevano, con l'arrivo dei villeggianti, un aumento dei consumi idrici cui seguivano giorni con i rubinetti senz'acqua e si dove ricorrere alle cisterne situate ora all'esterno ora sotto le vecchie case rurali in collina. I contenitori erano sia i bottiglioni da 2 litri sia le damigiane di 5 litri per gli usi casalinghi mentre per l'acqua potabile si ricorreva alle casse di acqua minerale San Pellegrino o San Bernardo perché non c'era la scelta di marchi di acque minerali cui siamo abituati oggi.
Anche la raccolta dell'acqua piovana dalle gronde sotto i tetti alle cisterne aveva le sue regole ed in particolare nei mesi di luglio ed agosto, in caso di piogge, l'acqua veniva deviata all'esterno altrimenti avrebbe portato i vermi in cisterna; non ho mai capito la correlazione tra l'acqua piovana estiva ed i vermi in cisterna.... ma mi è rimasto impresso quell'insegnamento da parte di persone da sempre a contatto con la natura e che sgridavano quei bambini che tenevano aperta per troppo tempo la fontanella situata lungo la mulattiera... perché l'acqua per loro era sacra.
1.2) Linea daziaria
Lungo le strade con i confini dei Comuni di Genova (ex Comune di Nervi. Sant'Ilario) e Bogliasco come via Sant'Ilario e via rio Fontanino ci sono delle vecchie ed un po' arrugginite targhe con scritto «Linea daziaria» ove stazionavano dipendenti del «Dazio» per farsi pagare il dazio sui prodotti agricoli in arrivo a Genova. Poiché l'orario di lavoro dei dipendenti del «Dazio» terminava alle ore 14.00, coloro che dovevano portare prodotti agricoli oppure galline, mucche etc. etc varcavano il confine ora nel pomeriggio ora alla domenica e così non pagavano alcun dazio per cui i diritti incassati non bastavano a pagare l'impiegato addetto alla riscossione.
Ad un certo punto gli impiegati furono tolti e concentrati nel vero dazio situato lungo la via Aurelia dotato di una grande Pesa per autocarri che resto' in funzione fino al 1973 quando l'IVA sostitui' la vecchia IGE ed il Dazio ando' in pensione.
1.3) Centrale del Latte di Genova
Oggi sentiamo parlare del destino della Centrale del latte di Genova ma negli anni '50 molti allevatori di mucche da latte delle colline tra Nervi e Sori furono costretti a cambiare lavoro perché non potevano più vendere il loro latte entro i confini del Comune di Genova; ci fu una lattaia di mia conoscenza, la sig.ra Adelina, che finì in Tribunale per aver dato un calcio ad un vigile urbano di Genova che gli aveva sequestrato il contenitore di latte che aveva portato per diversi km sulla testa!
Piano piano le mucche scomparvero dalle stalle delle colline del levante ed un'attività storica lungo la fascia costiera fini in poco tempo ed oggi le ultime mucche liguri pascolano in val d'Aveto.
Saluti
Mario Lauro
2 GLI ARTIGIANI DI UNA VOLTA
L'imbottigliatore di gazzose
usava biglie di vetro smerigliato
A proposito di cose perdute, riprendo il filo del discorso dove mi ero fermato: l'imbottigliatore di gazzose che poneva nel collo della bottiglia di vetro una biglia di vetro smerigliato affinché il gas addizionato al liquido non diminuisse di pressione fuoriuscendo dalla bottiglia stessa. Ebbene, appena vuota la bottiglia di gazzosa, «involontariamente» ci scivolava dalle mani, frantumandosi e noi, ragazzini di quel tempo, ricuperavamo la biglia ed andavamo a giocare a «s'cinche» (a biglie), sul terrazzo di casa. Le gritte arrivarono dopo ma, più che utilizzarle per giocare, le collezionavamo. Ve ne erano di quelle rare ed allora facevamo degli scambi. Una moltitudine di tappi anonimi per una «gritta d'autore».
E poi, vi sarà chi ricorda i libri intonsi, soprattutto quelli scolastici. L'uso del tagliacarte allora si presentava necessario e, con santa pazienza, dovevamo tagliare, tagliare e tagliare. Vi era la scappatoia di portare il libro dal tipografo e farlo rifilare ma non sempre la paghetta lo permetteva.
Crescendo, alcuni giochi diventavano tabù. Troppo grandi per giocare come i bambini e troppo piccoli per giocare come i grandi. Le attenzioni, allora si riversavano sulle novità.
Ricordo il primo «tandem» la bicicletta a due posti, uscita poco prima del 1939. Subito dopo apparvero, come per incanto, telai di bicicletta a quattro o cinque posti. Non era difficile andarvi, il più era che tutti riuscissero a mantenere l'equilibrio necessario, pedalando unitamente a chi si trovava al manubrio del mostro.
Il telefono? Erano pochissimi ad averlo e, perloppiù, si trattava di un mobile enorme avvitato al muro. In legno lucidato, microfono incassato nel legno e telefono rinchiuso in un cono nero appeso ad una leva cambio laterale ed era necessario girare opportunamente la maniglia del magnete allo scopo di far intervenire l'operatrice di commutazione che avrebbe provveduto al collegamento con l'utente desiderato. Qualche anno dopo vennero installati i primi apparecchi telefonici muniti di disco combinatore. Le centrali telefoniche si erano modernizzate e l'utente poteva accedere direttamente ai servizi di telefonia locale. Per i servizi interurbani era necessario l'intervento di una operatrice.
La radio nelle case era un vero proprio lusso. L'EIAR (ente italiano audizioni radiofoniche) faceva pagare, vampirescamente, una tassa sugli apparecchi quindi...
Ricordo la radio di casa mia. Era formata da tre apparecchiature: la prima consisteva in una scatola nera, pesantissima e voluminosa, che conteneva il trasformatore. La seconda conteneva il sintonizzatore e la terza non era altro che un altoparlante. Perché funzionasse bene era necessario installare una antenna (una lunghissima molla a spirale), vicina al soffitto e che occupasse tutto il perimetro dell'ambiente. Per non sentire gracidii o fischi si doveva, di volta in volta, spostare leggermente il sintonizzatore. Solo alcuni anni dopo vennero posti in commercio apparecchi più credibili.
Da salvare vi sarebbero anche i mastodontici cavalli che operavano nella zona portuale sotto alla Chiappella. Il porto di Genova, allora, era un reticolo di binari ferroviari e gli addetti alle manovre spostavano i vari carri merci utilizzando appunto, i cavalli (ancora negli anni Cinquanta il lavoro pesante veniva svolto da animali). Lavoravano «alla voce» e quei meravigliosi bestioni, docilmente, eseguivano gli ordini impartiti dai loro conducenti.
Salverei anche le arti ed i mestieri che si esercitavano nella parte commerciale del porto (nuovo ed antico). Non esistevano ancora i container e le merci viaggiavano in botti, damigiane, casse, cartoni, sacchi e chi più ne ha più ne metta. Ebbene, sembrerà strano ma, nell'area portuale esistevano artigiani in grado di riparare o costruire ognuno di quei contenitori. Il Porto Antico, come lo vediamo noi, è un obbrobrio. I progettisti hanno distrutto secoli di storia portuale genovese. Chi ha avuto la fortuna di conoscere il porto genovese prima dell'imbastardimento ricorderà quante arti e mestieri vi si esercitavano.
Enea Petretto
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