«È tutta colpa di quelli lì, di quelli della Lemon Broder», maccheroneggia nel suo inglese orecchiato ai tiggì un anziano che sentenzia, impreca e tira via. Metti una mattina a Milano, al mercato rionale di via Eustachi, sotto un cielo talmente da schifo che non ha nemmeno il coraggio di essere grigio fino in fondo. Metti negli occhi i pomodorini sardi volati fino a quota 4 euro, roba da Costa Smeralda, un lusso da Billionaire. Metti nel profondo del cuore il ricordo della Borsa precipitata il giorno prima a meno 8% e spiccioli. Metti infine in pancia, giù giù fin nei visceri più bui e borbottanti, il panico impotente e incontrollabile per quei quattro soldi lasciati fermi in un conto corrente che credevi - almeno quello - un approdo inviolabile.
Perché è alla gente che puoi incrociare qui, come in mille altri posti simili, posti da italiani qualunque, dal Nord al Sud dello Stivale, che questa crisi delle banche comincia a fare per davvero paura. Fa paura a quelli con lo sguardo un po così, inorridito e perso davanti al pesce spada a 30 euro al chilo; fa paura alle coppie di pensionati pallidi e fragili con la borsa della spesa sempre più leggera tra le mani; fa paura agli uomini e alle donne che si incazzano di brutto per quanto costano le michette, mentre non potrebbe fregar loro di meno se la maggioranza dialogherà con Walter Veltroni o se continuerà a governare con decreti.
No, loro si limitano ad avere una gran paura di questa crisi che per un tempo troppo breve si erano illusi sarebbe rimasta roba lontana, un pasticciaccio brutto da americani o giù di lì. Paura perché in fondo (e innanzitutto) loro non sanno che cosa sia, come funzioni e da quale accidenti di corna un povero diavolo possa cominciare ad afferrarla.
«Creda a me, io la sto ad ascoltare, la gente - assicura Francesco Musacci, fruttivendolo, mentre pesa arance e cipolle -. E quello che sto sentendo sempre più spesso, da qualche giorno a questa parte, è che chi ha solo quattro soldi da parte corre in banca e li tira via per essere sicuro quantomeno di avere sottomano il necessario per mangiare. Del resto, guardi che prezzi mi tocca fare: i pomodorini a 4 euro, e io li pago a 2,80 più Iva. Dove schizzeranno, me lo dica lei, quando arriverà il vero freddo». Una sua collega, Anna Catino, storica colonna di questo mercato rionale, oltre a lamentare un calo delle vendite, ormai nellordine del 50%, ribadisce il sentiment diffuso. «Certo, so di chi è tornato a mettere i risparmi, quando ci sono, sotto la mattonella. A me lo confessano», dice allargando le braccia. Ma non ha nulla di cui sorridere.
Poco oltre, nellaria bigia, brilla il rosso di uninsegna Unicredit. Ma è tempo sprecato cercare lì una conferma e tantomeno un commento. Comunque ci provo. La direttrice, era prevedibile, cortesemente declina. «Cerchi di capire, non posso prendermi la responsabilità, si rivolga alla sede centrale». Certo, che capisco. Ma il capufficio stampa è altrettanto gentile, quanto netto: «Non facciamo né diciamo nulla che possa diffondere o aumentare la paura nella gente». Una «non risposta» che vale già da sola una risposta. Che non dice nulla, ma che al tempo stesso dice moltissimo.
I quattro che chiacchierano con disinvoltura di tassi davanti alla sede centrale della banca, in piazza Cordusio, non sembrano invece restii a parlare. Ex pensionati dell'istituto, quando ancora si chiamava Credito italiano, assicurano con l'indimenticato vocabolario degli addetti ai lavori che «se non sei investito in pronti contro termine puoi dormire sonni tranquilli». Poi, però, uno di loro ricorda come «ieri i Bancomat erano presi dassalto dalla gente, molto più del solito». Un altro, accennando verso lalto, fa notare la scomparsa delle bandiere italiana ed europea, e proprio dal balcone dove si affaccia lufficio dellamministratore delegato Alessandro Profumo. «Sarà per lavarle...», sorride un terzo. Il quarto, infine, fa notare come i terminali con gli indici di Borsa siano spenti. Proprio come quelli - sarà soltanto un caso? - di tanti altri istituti di credito.
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