Germania nei guai: ora cresce meno di noi

Milano Irrazionali. Nevrotici. Imprevedibili. Quando in ballo ci sono i mercati finanziari, nulla si può mai dare per scontato. Soprattutto ai tempi del colera finanziario, con la crisi del debito sovrano europeo che si miscela con le tossine in circolo di una nuova recessione mondiale. Ma dopo le conclusioni di ieri del vertice di Parigi tra Francia e Germania, è difficile immaginare che oggi, alla riapertura, le Borse si uniranno in un bell’applauso ad Angela Merkel e a Nicolas Sarkozy.
Dal summit i mercati si aspettavano molto, forse troppo. Tutti i desiderata della vigilia si sono però arenati sullo scoglio di un no declinato, con buona probabilità, alla tedesca. Non è passata l’idea degli Eurobond, benché considerati da una discreta pattuglia di politici, economisti e investitori uno strumento di stabilizzazione tale da raffreddare rendimenti e spread. Ma anche sull’idea di potenziare la dotazione finanziaria del fondo salva-Stati, è stata fatta calare la saracinesca. Il paracadute, peraltro non ancora operativo, vale attualmente 440 miliardi: ce ne vorrebbero almeno 1.000, dicono gli esperti, per convincere la speculazione che è meglio girare al largo dalla euro zona. Finora, il muro eretto dalla Bce a colpi di acquisti di titoli di Stato italiani e spagnoli ha retto (lo spread Btp-bund è calato ieri a 264 punti, mentre il tasso sui decennali è sceso sotto il 5%), ma la Banca centrale non ha risorse illimitate.
Punto terzo: Sarko e Frau Angela hanno cavato dal cilindro la tassazione sulle transazioni finanziarie, che ricalca quella contenuta nella manovra presentata dal nostro governo. Una prima reazione è già arrivata, e non è stata positiva: a un’ora dalla chiusura Wall Street perdeva lo 0,6%, nonostante Fitch abbia confermato agli Usa la tripla A. Se dovesse passare il giro di vite europeo, il rischio potrebbe essere quello di una (parziale) ritirata degli investitori Usa dal mercato continentale.
Quanto all’obbligo di mantenere in pareggio i bilanci, se da un lato la golden rule costringe i Paesi a comportamenti virtuosi, dall’altro può avere effetti depressivi sull’economia se venisse a mancare il sostegno della mano pubblica. Ciò vale soprattutto in momenti di scarsa ripresa come questo. Momenti in cui perfino una locomotiva come quella tedesca stantuffa stancamente con una crescita di appena lo 0,1% del Pil nel secondo trimestre. La Germania è ferma, e anche tutta l’Europa (+0,2%). Un duplice problema per Berlino: vista la frenata degli Usa, in odore di recessione, è imperativo impedire che la crisi paralizzi il Vecchio continente.
Nonostante le bad news tedesche, i mercati ieri hanno tutto sommato retto chiudendo con ribassi inferiori all’1%. Milano ha perso lo 0,87%, ma sugli energetici si è scatenata una pioggia di vendite a causa della «Robin Tax».

Quasi per una legge del contrappasso, a pagare il «pedaggio» più alto sono stati i titoli di cui il Tesoro possiede una fetta di capitale come Eni, Enel, Enel Green Power, Snam Rete Gas e Terna: il valore delle società si è ridotto di quasi 4 miliardi, la quota di Via XX Settembre di 1,65 miliardi. È una bella cifra: dall’inasprimento della tassa, l’esecutivo conta di incassare 3,6 miliardi.

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