Il Germi ritrovato è una sceneggiatura sulla «Vita di Gesù»

RomaOra che la sinistra giace sconfitta, si può fare un girotondo commemorativo intorno a Pietro Germi, il regista più personale e libero del cinema italiano ed europeo, senza tema che qualcuno alzi il ditino contro la felice vena spontanea dell’autore genovese classe 1914, in vita guardato con sospetto (nonostante l’Oscar per la sceneggiatura di Divorzio all’italiana e la Palma d’Oro per Signore & Signori) perché bravo, ma difficilmente classificabile. Uno capace di girare Le castagne sono buone (1970) per dire che semplice è bello; uno in grado d’attrarre Dustin Hoffmann (protagonista di Alfredo, Alfredo, nel 1972) col carisma della sua personalità scontrosa, ma affascinante; uno, infine, che sapeva voltare il neorealismo in salsa ironica, lanciando, in pieno 1968, la tematica campagnola (con Serafino) e scoprendo, prima degli altri, la qualità comunicativa di Adriano Celentano, non è dimenticabile.
Così ieri, a trentacinque anni dalla sua scomparsa, alla Casa del Cinema s’è visto Pietro Germi: il bravo, il bello, il cattivo, interessante documentario di Claudio Bondi (presto su La7, qui anche produttrice, con la Blue Film e con la Ascent Film), tessuto intorno a materiali di repertorio e testimonianze di quanti conobbero il rude Pietro. Alla presenza della vedova Germi, Olga D’Ajello, e della loro figlia Maria Lida, sfilano Claudia Cardinale («aveva un carattere chiuso simile al mio: lui mi dava e io gli davo», narra lei, nel 1959 al centro di Un maledetto imbroglio, tratto da Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana di Gadda, amico del regista); Lando Buzzanca («amava il carattere aspro e dolce dei siciliani»), Carlo Lizzani, ancora giudicatorio («aveva idee di difficile collocazione»), Pupi Avati («fa di se stesso il protagonista della sua storia»), Virna Lisi («non volevo fare la parte della stupidina, ma quando vidi il girato...»), grata a quel maestro, che in Signore & Signori la mise a leggere Bolero dietro alla cassa, ma averne, oggi, di personaggi come Milena.
A sfatare la leggenda del Germi scontroso e pieno di tic da timidezza, Enrico Lucherini, curatore dei lanci dei suoi film, a partire da Signore & Signori, nel 1966 («tutti i giovani registi, da Fausto Brizzi in su, vorrebbero girare quel film, però non ci riescono!»), ricorda l’allegria dell’amico. «Detestava i locali chic e amava le trattorie, il fiasco rustico. Il sindaco di Treviso non voleva che girassimo lì Signore & Signori, data la feroce parodia della provincia: lo convincemmo, fingendo che Virna Lisi, dopo un incidente d’auto, vedeva tutto esagerato. Compreso il film».
Scostante o cordiale che fosse, Pietro Germi, al pari di altri registi significativi (da Roberto Rossellini a Ermanno Olmi) fu sensibilmente attratto dalla figura e dalla vita di Gesù, come rivela il critico Marco Vanelli, che ha scoperto un’inedita sceneggiatura (Vita di Gesù) dell’attore e regista cinematografico, fin qui ritenuto laico. Sebbene non autografato, l’importante reperto cartaceo, ora pubblicato dalla cinerivista Ciemme e custodito nell’archivio di Don Zeno, a Nomadelfia, getta una luce nuova sull’opera germiana.

Una vena solidaristica e compassionevole affiora, dunque, da questo scritto originale, dov’è la drammatica figura di Giuda, il traditore, a emergere in tutta la sua moderna contraddittorietà. Germi, insomma, sarebbe arrivato primo anche a capire l’importanza di raccontare Gesù, magari dal punto di vista dell’Iscariota.

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