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Un gesto di umiltà

Un gesto di umiltà

Mentre Al Qaida gioisce, ovvio (ovvio?), per la catastrofe di New Orleans, il resto del mondo offre aiuti agli Stati Uniti. Persino Fidel Castro ha messo a disposizione un migliaio di medici, a dimostrare, ce ne fosse ancora bisogno, che il nemico dell'Occidente - e quindi degli Stati Uniti - non è più quel che rimane del comunismo bensì il terrorismo islamico. La vera (...)
(...) novità della situazione non sta nello slancio di solidarietà internazionale a cui ormai assistiamo normalmente di fronte a catastrofi di questo genere: tsunami docet. Né nell'insufficiente e lenta organizzazione - su cui insistono anche i media americani - dei soccorsi da parte del governo Usa: vorrei sapere quale Paese avrebbe affrontato meglio una sciagura andata molto oltre il prevedibile, e quale stampa nazionale non avrebbe messo in croce i responsabili dell'organizzazione.
A essere parecchio cinici non fa neppure impressione - sì, la fa - che la stampa di sinistra italiana si butti sull'evento con una sorta di compiacimento fanatico contro il presunto Maligno di sempre, gli Stati Uniti, trattando Bush come se avesse perso la seconda guerra mondiale, oltre (naturalmente) quella in Irak. La guerra in Irak è stata vinta, la dittatura di Saddam è caduta, Saddam è in galera, la democrazia sta tornando, per quanto è possibile in quei Paesi. Sostenere il contrario significa o essere in malafede o non avere capito che il terrorismo che affligge questa parte del secolo non è un nemico che si possa vincere in pochi mesi o settimane, come qualsiasi battaglia tradizionale. Ed è risibile ogni accusa di razzismo, per quanto ce ne sia ancora nella società americana, quando la verità è diversa e più semplice, anche se più crudele: che in Louisiana molta della popolazione è costituita da neri poveri, e che in ogni disgrazia sono sempre i più poveri ad avere la peggio.
Il fatto davvero extra ordinario di questi giorni è che gli Stati Uniti hanno chiesto ufficialmente aiuto non a Cuba né al Vaticano (che pure li ha inviati), ma a organizzazioni internazionali come la Nato e l'Unione Europea, che peraltro riceve così un riconoscimento americano come mai prima.
Tutto il Novecento ci ha abituati all'inverso, agli americani che aiutano gli altri: dalla prima guerra mondiale, passando per Hitler, a oggi quando - faccenda meno nota - gli aiuti Usa all'Africa sono da soli superiori a quelli di tutto il resto del mondo. Certo, ogni intervento aveva e ha come fine, implicito se non ultimo, il mantenimento del potere e della posizione americana, ma la posizione americana è essenzialmente quella della libertà e del benessere per tutti, foss'anche soltanto per motivi di mercato. Persino la sopraffattrice guerra in Vietnam aveva questa caratteristica: benefica, visti i risultati e gli esiti del comunismo.
È solo dalla recente guerra in Irak che gli Stati Uniti chiedono l'appoggio del resto del mondo d'Occidente. Ma se in quel caso era logico e indispensabile avere il massimo di sostegno internazionale prima di mettere piede in quella polveriera e proseguire la lotta al terrorismo islamico, non si può davvero credere che gli Usa - con l'intervento di un esercito che fino a tre anni fa si diceva pronto, e probabilmente lo è, ad affrontare anche una guerra con la Corea del Nord, oltre che in Irak - non avrebbero risolto i sia pure immensi problemi causati da Katrina; che non sarebbero riusciti a risolverli senza l'Ue e la Nato, di cui peraltro costituiscono grande parte.
Quella dell'amministrazione Bush, oggi, sembra più una dimostrazione di umiltà più che di effettivo bisogno: come ribadire un «siamo come altri», sia pure in un contesto di primus inter pares che gli americani non vedranno di certo svilito vedendo all'opera sul loro territorio nazionale degli ospedali da campo europei o canadesi. È un prepararsi e un prepararci, insomma, a ben altre e future battaglie di solidarietà e unione occidentali che non mancheranno.

Paradossalmente, una posizione di forza, non di debolezza.
Giordano Bruno Guerri

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