Gheddafi: «Altri attacchi se Roma non paga»

da Tripoli

Il dittatore libico, il colonnello Muhammar Gheddafi, ha minacciato ieri sera l’Italia, affermando che non sono da escludere nuovi attacchi a sedi del nostro Paese in Libia se il governo di Roma continuerà a rifiutare di risarcire Tripoli per quanto le truppe italiane fecero durante il periodo coloniale, «durante il quale - ha detto Gheddafi - furono uccisi migliaia di libici». In un discorso pronunciato davanti a funzionari governativi, il numero uno del regime tripolino ha dichiarato che nell’assalto al consolato italiano di Bengasi, lo scorso 17 febbraio, i manifestanti tentarono di uccidere il console Giovanni Pirrello e i suoi familiari.
Negli scontri scoppiati davanti alla nostra rappresentanza morirono 11 arabi e una sessantina rimasero feriti, colpiti dal fuoco della polizia. Gli incidenti scoppiarono dopo che l’allora ministro per le Riforme, il leghista Roberto Calderoli, aveva mostrato in segno di solidarietà con la Danimarca una maglietta con le vignette danesi ritenute blasfeme da gran parte dei musulmani in quanto ironizzavano su Maometto e la religione islamica.
«I dimostranti - ha precisato Gheddafi - intendevano proprio uccidere il console italiano e i suoi familiari. Gli aggressori non puntavano alla Danimarca perché non avevano alcuna idea di che cosa fosse la Danimarca. I libici - ha aggiunto - odiano l'Italia, non la Danimarca. I miei concittadini cercano l'occasione per far esplodere la loro rabbia contro l'Italia da quando nel 1911 Roma occupò la nostra terra. E la ragione di questa situazione è che l'Italia non ha ricompensato i libici per le loro sofferenze». È la prima volta che Tripoli attribuisce la protesta di Bengasi al dominio coloniale italiano in Libia.
Qualche ora prima il governo aveva annunciato l’avvenuta scarcerazione di tutti gli 84 membri dell'organizzazione estremista «Fratelli musulmani» detenuti nelle carceri del Paese e fuorilegge dagli anni Novanta. Il regime aveva fatto arrestare verso la fine degli anni Novanta 152 esponenti del movimento estremista islamico e nel 2002 il tribunale del popolo ne aveva condannati due a morte, 73 all'ergastolo e altri a 10 anni; 66 erano stati assolti.


I condannati, in gran parte studenti e professori universitari, erano accusati di aver sostenuto il movimento Al-Jamaa al-Islamiya al-Libiya, un movimento fondato nel 1979 e ispirato ai Fratelli musulmani, la cui origine è egiziana e di cui oggi il più noto rappresentante è Ayman al Zawahiri, il braccio destro di Osama bin Laden. La scarcerazione degli estremisti libici era stata chiesta nel giugno scorso da Seif el Islam Gheddafi, primogenito di seconde nozze del dittatore, andato al potere nel 1969 con un colpo di Stato.

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