Gheddafi in esilio? L’Occidente si divide

Adalberto Signore

Quanto sia ampia la «finestra» aperta dai volenterosi al prepensionamento di Gheddafi è impossibile dirlo. Ma visto il bombardamento sul bunker del raìs effettuato ieri pomeriggio, nelle intenzioni dell’asse anglo-francese l’ampiezza della finestra non va misurata in settimane. Roba di giorni se non di ore. Meno precipitosi gli altri partner, in testa l’Italia che spinge da tempo per l’esilio, interessati a non innescare un’escalation niente affatto improbabile, tenuto conto dell’ipotesi di fornire armi agli insorti ventilata dai più volenterosi. Quanto alle intenzioni degli Stati Uniti espresse da Obama nel suo discorso tv alla nazione, al primo punto c’è la volontà di non ripetere l’esperienza irachena del 2003, quando gli americani non avevano la minima idea di che cosa li aspettasse a Baghdad dopo la rapida vittoria militare. «L’obbiettivo - ha detto il capo della Casa Bianca - è una Libia che appartenga non a un dittatore ma al suo popolo».
Ricapitolando, sono tutti d’accordo sull’idea che Gheddafi sia ormai delegittimato. E quasi tutti sulla famosa «cabina di regia politica», chiesta fin dall’inizio da Francia e Regno Unito. La realtà però non coincide sempre con le intenzioni, per quanto supportate da costosissimi missili intelligenti e ambiziose strategie geopolitiche. E la realtà, mentre i Paesi impegnati nell’intervento in Libia - più l’Unione europea, la Nato, la Lega araba e la Conferenza islamica - erano riuniti a Londra nella prima conferenza internazionale sulla crisi, è che il Colonnello resta in campo. Sul terreno è al contrattacco e sul fronte diplomatico si difende bene, dato che non dev’essere stato del tutto estraneo alla decisione dell’Unione africana di disertare all’ultimo momento l’incontro di Londra. «Lasciate che sia l’Unione africana a gestire la crisi - ha detto il Colonnello ai convenuti -, la Libia accetterà tutto quello che deciderà». E l’Unione africana ha subito comunicato al padrone di casa, il ministro degli Esteri del Regno Unito, la sua «road map» in cinque punti: cessate il fuoco; protezione dei civili; assistenza umanitaria; dialogo politico tra tutte le parti; transizione con riforme. Come si vede, non un accenno all’esilio. Intanto il Vaticano chiede la fine delle ostilità e l’avvio del dialogo diplomatico, la Cina si rifà viva dopo qualche giorno di silenzio chiedendo il cessate il fuoco immediato e la Russia sottolinea che i volenterosi dovrebbero rispondere al Consiglio di sicurezza dell’Onu e non «a qualche altro forum istituito ad hoc».
Al di là della linea seguita a Londra dalla diplomazia italiana, intanto, a Roma continuano i malumori per l’atteggiamento della Francia. È stato l’Eliseo, infatti, a «promuovere» e poi veicolare sui media la conference call a quattro (Obama, Sarkozy, Cameron, Merkel) da cui l’Italia è stata esclusa. E sempre Parigi ieri è stata protagonista del respingimento degli immigrati tunisini a Ventimiglia, rifiutandosi di fatto di accoglierli. Una situazione che nei diversi incontri della giornata Berlusconi non esita a definire «insostenibile». L’Unione europea - è il senso dei ragionamenti del premier - ci sta lasciando sola, con la Francia che vìola impunemente il trattato di Schengen. Una frizione, quella con il governo francese, che sta iniziando a superare il livello di guardia se a Palazzo Chigi c’è chi inizia a ipotizzare un disimpegno italiano da una missione che non ha mai convinto fino in fondo soprattutto per le modalità con cui è stato messo in pratica l’attacco militare. Un messaggio che seppure in via informale la diplomazia italiana potrebbe aver già veicolato ai suoi interlocutori: se non c’è una condivisione della questione clandestini, l’Italia non esclude di ritirare la disponibilità delle sue basi militari. Un’ipotesi in realtà difficile da mettere in pratica ma che ieri rimbalzava nelle dichiarazioni di più di un esponente del Pdl, dal governatore della Lombardia Formigoni al vicepresidente dei deputati Napoli. E l’irritazione di Berlusconi nei confronti di Sarkozy è dovuta anche al ricasco che la vicenda avrà sul governo. Che a un mese dalla tornata amministrativa rischia di perdere consensi proprio sulla crisi libica.

D’altra parte - sbotta il premier durante un vertice serale a Palazzo Grazioli - c’è chi ha fatto tutto questo anche per ragioni interne. Il Cavaliere ce l’ha con Sarkozy che, dice, «in Francia è al 22% di gradimento». E anche la Merkel, «con il suo 14% non sta messa bene» mentre «nonostante tutto io resto ancora intorno al 50%».

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