La ghigliottina del sindacato

(...) il dispaccio recapitato all'agenzia Ansa e pubblicato sul Giornale nei giorni scorsi. Grave e lesivo della dignità e dell'immagine dei giornalisti. Come se tutti quanti e a maggior ragione quelli indicati, ormai con nomi e cognomi a partecipare al viaggio, non fossero in grado di esercitare in qualsiasi momento e in tutte le situazioni la loro autonomia di giudizio. Come se non si fosse allenati a scindere la posizione di "ospiti" da quella deontologicamente fondamentale di raccontare ai lettori quello che si è visto durante un evento a cui si è chiamati a presenziare. Ed è proprio questo clima di torbido sospetto alimentato dalla nostra associazione, cioè da coloro che in definitiva avrebbero il compito prioritario e il dovere di difendere la nostra categoria, che mi offende e mi ferisce. Come se la tentazione di girarsi dall'altra parte dei colleghi tutti fosse ormai incancrenita e più forte del diritto-dovere di fare informazione che è alla base del nostra professione. Io che per principio e sino a prova contraria, sono abituato a dare per scontata la buona fede dei miei colleghi covo una profonda delusione nei confronti dei due rappresentanti del mio sindacato. Tanto più che il segretario, di fronte ad un appunto che tendeva soltanto a dimostrare la contraddittorietà del suo (loro) giudizio, a mio parere sbrigativo e sommario, chiede a me di fare nomi e cognomi da abbinare ad altri viaggi che con lo stesso metro di giudizio applicato da Zinola parrebbero discutibili e quindi da mettere sotto inchiesta. Ecco, io non ho messo in dubbio la buona fede dei colleghi ma il giudizio a priori, da "tribunale del popolo" che è stato emesso, a priori, cioè prima di leggere i "reportage", nei confronti di colleghi, per giunta facilmente identificabili. Non tocca a me fare i nomi, perchè io non giudico scandaloso o opinabile alcunchè. E sono stupito che mi si chieda di fare il delatore.
Credo al contrario, che spetti all'Ordine dei giornalisti, ma anche al direttore, all'editore e in ultima analisi ai lettori verificare se e in quali occasioni, sempre che sia successo, i colleghi invitati a "viaggiare" abbiano reso un cattivo servizio all'informazione. E c'è di più, perchè se come ventila, il segretario della Ligure, trasformatosi nella moglie di Cesare, cade il presupposto della buona fede a priori, conosco tante situazioni che, ai suoi occhi, diventano stridenti. E all'infinito questo ragionamento potrebbe minare il rapporto giornalista-direttore-editore che è alla base del processo dell'informazione. Il che vorrebbe dire che non essendo la categoria in grado di essere autonoma e di esercitare questo diritto non scrive mai la verità, ma in un certo qual modo quello che fa comodo a chi paga, non il viaggio ma lo stipendio, cioè l'editore. Ma, come dicevo, siccome non è nel mio stile agitare il sospetto per principio e a priori non spetta a me fare le denunce che il mio segretario chiede, ma piuttosto a lui (loro), che sono stati democraticamente eletti e interpretano in questo modo (rigoroso? gretto? barbaro? senza sfumature? anacronistico? totalitario?) la nostra capacità di essere autonomi scovarle ed eventualmente di prenderne visione.
Infine, per quanto riguarda la scelta più o meno azzeccata del Carlo Felice di invitare i giornalisti. Penso che ci siano ambiti diversi in cui discuterne, il loro consiglio di amministrazione, per esempio, e comunque anche le pagine dei quotidiani e dei giornali in genere.

E credo che nel caso di eventuali critiche al Sovrintendente per la decisione, anche i colleghi invitati a partecipare alla missione Cina ne avrebbero dato notizia, in nome di quell'autonomia professionale di cui il nostro segretario si sente, evidentemente, unico depositario.
*Caporedattore
del Corriere Mercantile
e Gazzetta del Lunedì

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