Il giallo del doping scomparso di lady Riccò

Dopo la vergogna e il tormento, un piccolo spiraglio. Un flebile raggio di luce, nulla di più. Vania Rossi, la compagna di Riccardo Riccò e campionessa azzurra di ciclocross positiva al Cera - l'epo di ultima generazione - in un controllo del 10 gennaio scorso, è risultata «non positiva» alle controanalisi. Si tratta del primo caso del genere da quando è stato creato il nuovo laboratorio del Coni.
La notizia della positività - arrivata il 29 gennaio - aveva suscitato grande clamore. E non poteva essere altrimenti, soprattutto per due motivi: Vania è la compagna di Riccardo Riccò, lo scalatore modenese espulso dal Tour 2008 a causa di una positività proprio al Cera e squalificato per 20 mesi. Ed è una neo-mamma: il 6 luglio dello scorso anno aveva dato alla luce Alberto. «Pensavo fosse uno scherzo. È assurdo, io allatto ancora e non posso prendere neanche un’aspirina, figuriamoci il Cera», aveva commentato sconvolta la notizia della sua positività, affidandosi poi all’avvocato Floriano Alessi di Rimini e al professor Santo Davide Ferrara, dell’Università di Padova, come consulente scientifico.
L’atleta romagnola, che si è sempre professata innocente, tanto da chiedere le controanalisi, si è trovata anche nella spiacevole e imbarazzante situazione di doversi giustificare con il proprio compagno, Riccardo Riccò, che in seguito a questa positività aveva preso le distanze da Vania. «Fin quando non mi racconta la verità, io non la voglio più vedere», aveva tuonato il corridore modenese. Fortunatamente, il tempo ha poi aggiustato le cose, ricomponendo la famiglia.
Ieri pomeriggio, un ulteriore spiraglio. «Nel campione B sottoposto ad analisi di revisione, effettuate nei giorni dal 29 marzo al 2 aprile 2010, non sono stati rinvenuti i livelli minimi di Cera indispensabili a soddisfare i criteri della Wada», come si legge in una nota diramata dal Coni. Nel campione «A» invece le analisi di screening, effettuate a gennaio 2010, avevano mostrato la netta presenza di Cera nel campione, soddisfacendo pienamente i criteri di positività della Wada.
E quindi? La questione è tutt’altro che chiusa. I legali dell’atleta si sentono prossimi a cantar vittoria, ma i segnali che giungono da Roma sono chiari e inducono a pensare che per i periti dell’atleta azzurra non sarà facile uscire da questa vicenda. Insomma, per i laboratori del Coni le tracce di Cera non sono più così evidenti, ma ci sono, e basterebbero a incriminare l’atleta.
«Prima non lo sapevamo - ha spiegato il direttore del laboratorio del Coni Francesco Botrè -, ora sì e per questo abbiamo subito informato la Wada di una novità che ha evidenti connotati scientifici: nelle urine il Cera si degrada prima che nel sangue. Questo non significa che nel campione B, quello analizzato in questi giorni, il Cera non ci fosse, anzi. Solo che non è sufficiente a soddisfare i parametri minimi richiesti dall’agenzia mondiale». Botrè ha anche aggiunto che, d’intesa con la difesa dell’atleta, è stato effettuato un ulteriore test «ma nel relativo gel si è evidenziato un segnale seppur debole nella zona del Cera. Tutto questo indica un processo di degradazione del Cera in urina che, essendo risultato più rapido rispetto ad altri campioni positivi per la stessa sostanza, riduce l’intensità del segnale».
Quindi? Il caso Rossi non è chiuso. A garantirlo è lo stesso capo della procura antidoping del Coni, Ettore Torri, che ha spiegato di essere intenzionato a «esaminare nei prossimi giorni la vicenda, anche con l'ausilio di propri esperti, per una valutazione completa ed eventuali provvedimenti».

Una valutazione è stata però già data anche dal laboratorio di Chatenay-Malabry, dove sia il campione A che quello B sono stati inviati, e gli esiti analitici dei test sono stati confermati - come da normativa Wada - e le valutazioni che arrivano dalla Francia lasciano comunque pensare che l’atleta azzurra sia ricorsa ad una assunzione esogena. Per questa ragione è ragionevole ritenere che la Procura decida di deferire in ogni caso l’atleta al Tribunale Nazionale Antidoping, chiedendone la squalifica.

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