da Milano
Il piccolo jet si trovava a unaltitudine sbagliata: 37mila piedi (11.300 metri) di quota, la stessa a cui volava il Boeing 737 della compagnia brasiliana Gol. Così venerdì scorso il Legacy 600, diretto a Manaus, si è scontrato con il grosso aereo civile. Un urto, e il Boeing è precipitato nella foresta del Mato Grosso. Si è disintegrato: i 149 passeggeri e i sei membri dellequipaggio hanno tutti perso la vita. Le sette persone a bordo del Legacy si sono salvate. I due piloti, entrambi americani, Joe Lepore e Jan Paladino, sono riusciti a far atterrare il jet nella base militare di Cachimbo. Ora i loro passaporti sono stati sequestrati dalle autorità brasiliane. Il reato ipotizzato è omicidio colposo: i due piloti non avrebbero preso misure «idonee a evitare lincidente». In particolare, non avrebbero rispettato laltitudine prevista, 36mila o 38mila piedi: un numero pari, perché il dispari, il 37mila, era riservato al velivolo civile. E il Legacy non aveva attivato il transponder, lo strumento che segnala posizione e velocità. «Un pilota lo spegne quando non vuole essere identificato. Magari volevano provare qualche brivido, lontano dagli occhi dei controllori» ha spiegato il capo delle autorità aeroportuali brasiliano alla stampa del paese.
Le indagini della polizia continuano, anche per cercare di chiarire quello che appare il paradosso dellincidente: contro ogni previsione, sono stati i passeggeri del jet a sopravvivere. Uno, il giornalista del New York Times Joe Sharkey, ha raccontato «i 30 minuti più terribili» della sua vita sulla prima pagina del quotidiano. Lui era il più vicino al punto dellimpatto: prima, non aveva sentito rumore, non certo quello dei motori di un 737. Un colpo, poi il silenzio. E «le tre parole che non dimenticherò mai»: «Siamo stati colpiti». Non cè stato panico, ma tutti hanno pensato a una cosa sola: lasciare un messaggio nel portafoglio per le persone amate.
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