La Giamaica scopre il nuovo Bob Marley: è un bergamasco

Dieci anni fa si trasferì dall’Italia nell’isola caraibica. Ora Alberto D’Ascola, 32 anni, è diventato una star del reggae col nome d’arte di Alborosie

La Giamaica scopre il nuovo Bob Marley: è  un bergamasco

Sarà anche vero che Alberto D’Ascola - convertito al credo religioso rastafari - «non fuma, non mangia carne e non beve alcol». Certo è che nei suoi videoclip Herbalist e Kingston Town gli spinelli non mancano, così come gli hamburger grigliati e le bottiglie di rum.
Non ci troviamo nella pacifica Bergamo (sua città natale), ma nei sobborghi violenti della capitale giamaicana. È qui infatti che questo nostro compatriota di 32enne (portati non proprio benissimo) è diventato un mito del reggae. È a Kingston Town, infatti, che D’Ascola, che qui tutti conoscono col nome d’arte di Alborosie, ha fatto fortuna con la musica di Bob Marley. Che è un po’ come se un giamaicano si trasferisse a Napoli, affermandosi come interprete della canzoni neomelodica.

La comunità locale lo ha adottato fin dal 1998, anno in cui Alberto si trasferì sull’isola caraibica armato di chitarra e capigliatura alla Bob Marley. Da allora Alborosie ha scalato le hit, diventando un idolo giovanile, al punto che il ministro della Cultura giamaicano lo ha definito «un esempio di perfetto giamitaliano». Praticamente un monumento all’integrazione.

«Mi sono trasferito qui - racconta l’artista - alla ricerca delle radici dei ritmi reggae; otto anni fa decisi di cambiare vita per godermi vibrazioni differenti rispetto a un certo tipo di esistenza...».

Grazie al singolo Herbalist, uno dei brani più suonati nelle dance hall, Alberto si è conquistato la fiducia e il rispetto degli appassionati locali: «Il percorso d’accettazione è ancora lungo, perché qui la musica è molto di più di un semplice sottofondo».

In molti dei suoi testi, Alborosie descrive situazioni crude: «Gli artisti qui non inneggiano alla violenza, ma raccontano il loro vissuto da ghetto; come quello di Trenchtown, assai amato da Bob Marley, dove appena qualche giorno fa sono stati uccisi tre poliziotti».
Alborosie ha capito di avercela fatta quando la sua faccia è finita sulla copertina di Riddim, un magazine che sta al reggae come Novella 2000 sta al gossip. In quattro e quattr’otto ha imparato il Patua (slang giamaicano), cominciando a salutare tutti non più con la tradizionale stretta di mano ma con un coreografico gioco di pugni e schiocchi di dita che fa tanto soul raggaer con tanto di «cannone»: «Quando faccio i miei pezzi mi viene naturale cantarli così, perché sono influenzato dalla musica day by day ascoltata alla radio». Intanto gli amici di Alberto sono diventati una marea: «La Giamaica è piccola, quindi ci si conosce tutti. C’è poi tanta energia e un fantastico scambio multiculturale». Altro che razzismo: «Non ho mai avuto il problema del bianco o del nero. Peace and unity, capito?». Insomma...

Ma se la Giamaica è la patria della libertà come mai una canzone di Alborosie è stata messa al bando dalla Jbc (Jamaica Broadcasting Commission)? «Nel brano Herbalist spiego un po’ come si fa a vendere erba su scala internazionale, quindi ad esportarla. Nel video facevamo vedere dei bambini che vendevano la marijuana, cosa che accade anche nella realtà». Ma qual è la morale? «Questi bambini crescevano e diventavano sempre più grossi e alla fine, quando diventavano uomini maturi, venivano arrestati come nella migliore tradizione». Peccato che il video non sia piaciuto, anche per colpa di una frase considerata troppo esplicita: «Babylon dem thief my herb», che in Giamaica è come dire: «La polizia ha rubato l’erba».
Altro tabù, per le autorità giamaicane, è rappresentato dall’omosessualità. Anche su questo punto il Alborosie ha le idee chiare: «Su quest’isola è come stare in un paesino dell’Aspromonte, sono molto indietro, ci sono molti analfabeti».

Una cultura che Alberto cerca di elevare il più possibile: «Sono una persona molto spirituale e religiosa e non voglio sapere ciò che le persone fanno nella propria camera da letto. Non ho tempo per interessarmi di queste cosine». Chiamale cosine...

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