"Che delusione questa Lega. La mia aveva un sogno e si chiamava federalismo"

Era ministro nel primo governo Berlusconi, oggi Pagliarini è tornato a fare il commercialista. "Salvini, Tosi o Zaia? Se avessero ancora quel progetto di Italia non avrebbero mai litigato"

"Che delusione questa Lega. La mia aveva un sogno e si chiamava federalismo"

Il grande amore? Esiste e fa scattare una scintilla che ti resta accesa per tutta la vita. Inutile far finta di dimenticarlo, riemerge sempre. Così parlò Giancarlo Pagliarini, anni 73 il prossimo 23 aprile. Leghista della prima ora, ministro del Bilancio nel primo governo Berlusconi del 1994, poi indipendente nella «Destra» di Francesco Storace e Daniela Santanchè, poi ancora, per un breve tratto di strada, al fianco di Oscar Giannino in quel «Fare per fermare il declino», per la verità non troppo fortunato. Ma, soprattutto ieri, poi oggi e poi domani, sempre e comunque con quel suo grande amore nel cuore e nella testa: il federalismo. Come dire: un uomo, un'idea fissa. Da difendere. Costi quel che costi. Perché comunque ne è valsa la pena, ne vale la pena e ne varrà sempre la pena.

Sono le 14.30 e lui taglia con meticolosità la sua mocetta, detta anche carne secca. «Scusi se mangio qualcosa, ma questo è il mio pasto abituale, poi devo tornare ad immergermi nel lavoro, ma lei piuttosto, ha mangiato? Almeno un grissino lo gradisce?». Faccia pure, proprio come se fosse a casa sua, nella sua cucina, ironizziamo, ma intanto ci piacerebbe sapere che cosa fa oggi Pagliarini. «Faccio quello che facevo vent'anni fa e che farò fra vent'anni: difendo l'idea di federalismo, cerco di diffonderla, e, soprattutto, cerco di farla comprendere perché, vede, il federalismo non è nel nostro Dna di italiani. Eppure, aspetti un momento che vado a prenderglielo, guardi questo libro di Carlo Cattaneo, un pensatore illuminato che duecento anni fa scriveva cose così sagge e così attuali che sarebbero ancora oggi il rimedio per i guai della politica e dell'economia contemporanea». Pare di capire da questo primo approccio che il «Paglia» degli Anni Duemila continui a fare politica ma lui, masticando il grissino d'ordinanza, puntualizza: «Non proprio, perché io il politico di professione non l'ho mai fatto. Ho lavorato vent'anni per la Arthur Andersen, poi ho fondato una mia società di revisione contabile, insomma non ho mai mollato il mio lavoro, anche quando ero a Roma al governo, perché se uno fa il politico di professione lavora non per il bene del Paese ma per mantenere la sua poltrona. Resta attaccato ai sui voti e cerca di difenderli al punto da contestare idee buone perché magari quelle idee le ha un suo avversario politico. Così non si va da nessuna parte. Così si instaura solo la logica del muro contro muro e invece in Svizzera è tutta un'altra cosa. Lì sì che si lavora insieme, lì si che il federalismo trova la sua realizzazione». La Svizzera, sempre con questa Svizzera. Altro grande amore di Pagliarini, la Svizzera. «Già, ce l'abbiamo qui a due passi, la Svizzera con il suo federalismo più virtuoso, e non sappiamo nemmeno copiarla. Legga qui come funziona in Svizzera: i quattro partiti che prendono più voti e che sono diversissimi tra loro si mettono a lavorare insieme per il bene della collettività. E così che funziona e ha sempre funzionato in Svizzera. È così che si crea la cultura del rispetto. La Costituzione svizzera non comincia con l'articolo 1 ma comincia con cinque premesse e la premessa più interessante e significativa è: noi siamo diversi e vogliamo lavorare tutti insieme per un obbiettivo comunque che è il benessere della collettività. Invece qui, nella Repubblica sovietica italiana la Costituzione ci viene a dire che siamo tutti uguali. Non è vero che siamo tutti uguali. È diverso un cittadino di Milano da uno di Siracusa è diverso uno che è di destra da uno di sinistra. Ma la logica vorrebbe che si lavorasse insieme, che si collaborasse. Le sembra che stia dicendo un'eresia?». Certo sarebbe interessante capire anche che cosa pensa Pagliarini della Lega di oggi. «Non è più, certamente, la Lega di Miglio che mi aveva conquistato e convinto. Su quella Lega, valeva la pena di scommettere e per quella Lega valeva la pena di impegnarsi. La Lega di oggi è invece un partito come gli altri, né meglio né peggio. A dire il vero Salvini è bravissimo ma anche se con la bacchetta magica riuscisse a realizzare tutto ciò che dice e promette non cambierebbe nulla perché non riuscirebbe a scardinare le logiche di questo Paese. In compenso sono convinto che raccoglierà un ottimo consenso elettorale perché ha capito che gli conviene non essere politicamente corretto». Un'altra fetta di mocetta e il tagliere è libero per parlare anche di Salvini, Zaia, Tosi e, capire secondo il Pagliarini-pensiero, chi ha avuto torto e chi ragione. «Hanno ragione e torto tutti e tre. Torniamo sempre a punto di partenza: vede che cosa vuol dire avere o non avere l'idea del vero federalismo? Se avessero una corretta idea del federalismo, non sarebbero l'uno contro l'altro. Ciascuno metterebbe le idee più propositive al servizio dell'altro e un accordo l'avrebbero trovato senza diktat né strepiti. Io questa faccenda l'avrei risolta proponendo agli elettori della Lega in Veneto un referendum ad hoc, un referendum online, naturalmente, così non sarebbe costato nulla». Un ritratto di Renzi in poche parole: «Renzi, rispetto a quelli che sono venuti prima di lui al governo, se non altro ci sta provando. Il suo problema è che i nemici più ostili ce li ha dentro il suo partito. E poi, purtroppo per lui, sul discorso del federalismo non ci sente. Io continuo a mandargli messaggi ma lui non risponde, non ci sente su questo fronte. Tra l'altro l'errore di molti politici è quello di confondere il federalismo con il decentramento. Non sia mai detto: il decentramento riconosce la sovranità del centro e invece, come sanno bene ancora una volta di più in Svizzera, con l'articolo 3 della Costituzione: i Cantoni sono sovrani. Mentre da noi lo Stato sovrano, tratta i cittadini come sudditi, leggasi gli scritti eccellenti usciti dall'Istituto Bruno Leoni». Uno che ha conosciuto da vicino il «Paglia» è Silvio Berlusconi, parliamone: «Sa che le dico? Che se le cose che le ho appena detto sul federalismo le dicesse lui domani a Porta a porta , se facesse pure notare che la Costituzione svizzera non è male e lanciasse l'idea di imitarla, ecco che lui prenderebbe una gigantesca quantità di voti. Tenga accesa anche lui la scintilla del federalismo, se decide di rimanere in politica. Io lo faccio ed è la cosa più giusta che un vecchietto come me possa fare. Perché manca proprio la cultura dell'unità nella diversità. Perché il federalismo è un cantiere sempre aperto. Io nel 2008 ho deciso di fondare l'Associazione Pagliarini per la riforma federale. Nello statuto abbiamo messo che non siamo di nessun partito perché in questo Paese se dici che sei di un partito gli altri dicono che sbagli, anche se hai ragione e dici cose giuste. Il 2 Aprile presentiamo le nostre idee a Varese dove il sindaco è il leghista Fontana ma la Lega non c'entra. Perché il federalismo non è di destra né di sinistra». Già, bisognerebbe capire in quale Italia siamo. «Siamo in una situazione tragica, il sistema Paese non ce la fa. Lei pensi che in Canton Ticino, ora che le banche hanno meno peso, hanno già fatto un progetto di investimenti per lo sviluppo proiettato fino al 2025. Questa si chiama visione illuminata e l'hanno fatto assieme tutti i partiti. Ma qui siamo ancora al Medioevo. Se ci fossero le opportunità i giovani rimarrebbero in Italia, ma per dare una possibilità ai giovani bisogna innescare la competizione. La concorrenza genera sempre idee e genera anche efficienza.

Tra i Cantoni svizzeri c'è concorrenza per far pagare meno tasse, per attirare gli insediamenti di nuove aziende e per creare così nuove opportunità di lavoro senza penalizzare il cittadino. Questo vuol dire essere sovrani e non sudditi in casa. Ma, scusi, almeno un pezzetto di cioccolato lo prende? Svizzero? «No, italiano. Il cioccolato lo facciamo buono anche noi».

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