Gianfry/1 L’ha detto: sono un kamikaze

Un «momento di liberatoria involontaria comicità, una «riflessione che trasuda violenza all’intelligenza. Roba da kamikaze è passare la domenica mattina a leggere il suo articolo». Con la consueta verve polemica di chi non accetta critiche - nonostante loro abbiano fatto della denigrazione a mezzo stampa la ragione di vita - i pensatori di Farefuturo, la fondazione nata per volontà di Gianfranco Fini, si sono scagliati contro Marcello Veneziani, reo di aver scritto ieri su questo giornale che Fini è «un kamikaze che passeggia per il Transatlantico imbottito di trentatre chili di tritolo». Ora, non si vuole qui prendere le parti di Veneziani - che dagli attacchi del think tank finiano si può difendere, qualora lo ritenesse necessario, benissimo da solo - ma solo ricordare alle nobili menti che animano il pensatoio finiano che fu il loro stesso leader il primo a definirsi «kamikaze». Ventuno aprile scorso, alla vigilia di quell’infuocata direzione nazionale del Pdl di Roma che sancirà la definitiva rottura del fronte finiano col resto del partito, con quel profetico «che fai, mi cacci?» gridato da Fini al Cav. Il presidente della Camera, forse in un momento d’estasi di chiaroveggenza politica, andò a trovare il collega di partito Fabrizio Cicchitto.

«Lo vedi - esclamò Fini aprendosi la giacca - io sono un kamikaze. Ho la cintura con l’esplosivo». Certo non dev’essere facile per quelli di Farefuturo accettare che l’«ex ideologo della destra», come bollano Veneziani, conosca meglio di loro il loro leader.

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