Giannini: "Torno alla regia"

L'attore è protagonista del suo Ti ho cercato in tutti i necrologi, che uscirà in primavera: "Le donne mi hanno scoperto solo dopo avermi visto con 007"

Giannini: "Torno alla regia"

Roma - Parla con te e scarabocchia, progetta, mille brevetti in testa e una mano sola per tormentare la carta. «Voi donne vi siete accorte di me solo dopo 007», sfotte il seduttore a vita e due volte marito Giancarlo Giannini, che in Quantum of Solace era la spia Mathis e finiva nella spazzatura, non del tutto morto, però. Tanto per restare nel tema obituario, l’anno appena iniziato lo vedrà nei panni del becchino Nikita, protagonista del suo film Ti ho cercato in tutti i necrologi, pronto in primavera, con l’ausilio di Rai Cinema. Tornando alla regia dopo ventidue anni (Terno secco, nel 1986, lo fece esordire dietro la macchina da presa con la divertente storia di Mimì, che traduceva i sogni in numeri da giocare al lotto) l’attore e cineasta di sempre notevole presenza ha le idee chiare: deve finire di trovare i soldi per mandare in sala la sua commedia, (interpretata anche da Joe Abrahams), ora in fase di montaggio. Tempi duri per tutti. Anche per chi, come lui, ha un nome negli Usa (come interprete preferito di Lina Wertmüller, amata da Hollywood) e in Cina (come inventore patentato). Per tacere dell’Italia, dov’è un senatore del buon cinema.

Caro Giancarlo Giannini, ma che cosa sta disegnando?
«Lo storyboard del mio prossimo film. Una storia di un uomo di colore e del suo bambino, ambientata in Sicilia e in Africa, ai tempi di Mussolini».

E per chi non sapesse l'inglese?
«È la visualizzazione della sceneggiatura. La “normalità” del disegno ti costringe a stare sulla sceneggiatura. Si tratta di visualizzare i movimenti di macchina inquadratura per inquadratura».

Torna alla regia con «Ti ho cercato in tutti i necrologi»: come mai passa dall’altra parte dell’inquadratura?
«Magari, cambio il titolo un po’... wertmulleriano, ironico. Mi sono scritto un film denso, perché son vent’anni che non mi fanno fare ruoli adatti».

Chi è Nikita dei cimiteri?
«Una persona normale, che cerca di sopravvivere. Per me è un eroe biblico. Ossia un italiano che vive in Canada dopo essere scappato dall'Italia. Dove facendo il tassista ha investito un calciatore. Così, invece di guidare il taxi adesso porta i morti».

Un carattere italiano, insomma: sopravvive alle avversità e non perde la voglia di campare...
«Sì. Il mio Nikita è uno che ha fatto il detective, il marinaio, il tassinaro: risponde alla volontà di sopravvivere. Lo salverà l’amore di una donna. Alla quale dà un passaggio sul carro dei morti».

Amando la tecnologia, della quale è esperto, punterà agli effetti speciali?
«Il futuro è qui e ho pensato alla nuova tecnologia dei telefonini e dei computer. Facendo cinema, adesso occorre entrare in diretta nell’informazione. Il nostro futuro è già sul telefonino. Più di quanto vogliamo!».

Che cosa blocca l’Italia sulla via dell’innovazione?
«Invece di andare avanti, cerchiamo di tornare indietro. Ma usiamo la parola “fantasia”! È la cosa più bella che abbiamo. Il mio film rispecchia questa voglia di capire la parte più magica della nostra vita».

Insegnando agli allievi del Centro sperimentale di cinematografia che cosa cerca di trasmettere ai giovani?
«Sono molto contento dei miei allievi. Insegno loro la gioia di vivere».

Impresa difficile: come ci riesce?
«La vita è più semplice di come ce la rappresentano. Da un buon piatto di spaghetti a un palazzo, che acquista bene le sue proporzioni, abituo il cuore dei miei ragazzi a osservare la bellezza della semplicità».

Si tratta d’una disciplina di vita: autodidatta o qualcuno l’ha iniziata?
«L’ho appresa, ce l’ho dentro, da vari maestri. Primo fra tutti, Orazio Costa, dal quale ho imparato il mestiere, non sapendo nulla di recitazione. E poi, Lina Wertmüller, Franco Zeffirelli, Eduardo, Federico Fellini».

Prova mai nostalgia per certi amici che non ci sono più?
«Di Fellini e di quando, insieme, di notte, mangiavamo un piatto di fettuccine, parlando di tutto. Non ci sono più Gassman, Volontè, Mastroianni... miei amici e fratelli, con i quali ho trascorso pezzi di vita e di lavoro».

Qualche trucco del mestiere, lo «passa» ai

ragazzi?
«Non siete voi a recitare ma è il pubblico che recita per voi. È il pubblico, che paga per entrare a piangere o a ridere. L’attore è un plagiatore. Il pianto e il riso si equivalgono. Così come il saggio e lo sciocco».

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