Roma - Nel cuore di Roma c’è un taxi che non prende mai chiamate. Paolo, lo chauffeur, ha un solo cliente che lo ha prenotato a vita: Luigi Bisignani, detto Gigi. Si racconta che Gigi si faccia scarrozzare tutti i giorni fra Palazzo Chigi e gli altri palazzi del potere e la leggenda vuole che il taxi di Paolo sia diventato l’ufficio volante di uno degli uomini più potenti d’Italia. Sempre vestito di blu, con giacca di sartoria napoletana, cravatta blu e camicia bianca, Bisignani ha trasformato quel taxi in una location alla James Bond perché sui sedili spuntano palmari, computer, cellulari, diavolerie supersofisticate. Insomma, tutte le attrezzature necessarie per il suo frenetico lavoro di grande tessitore. C’è chi lo considera un super lobbista, ma la parola, con tutta onestà, non rende lo spessore del personaggio, le sue entrature perfettamente bipartisan, ma soprattutto la capacità straordinaria di giocare per sé. Anche Napoleone cominciò come generale del Direttorio, ma poi costruì un suo impero.
Bisignani è stato accostato di volta in volta a questo o a quel personaggio ma non si è mai lasciato imbrigliare nel ruolo di consigliere, per quanto discreto, di questo o quel boiardo di Stato. C’è il suo zampino in molte operazioni delicate, come l’arrivo di Paolo Scaroni ai vertici dell’Eni e allora ritorna la domanda che serpeggia nei salotti romani e ha tormentato i magistrati che hanno messo il naso nei suoi affari,come il Luigi De Magistris dell’indagine «Why Not» e l’Henry John Woodcock della P4: non è che Bisignani è il burattinaio più che l’agentedi quel gruppo o quella lobby?
Gigi è in ottimi rapporti con Scaroni e il Cane a sei zampe, uno dei pochi colossi del Paese e fra i principali finanziatori del sito Dagospia di cui il solito Gigi sarebbe uno dei grandi informatori. Sia chiaro: Gigi nasce giornalista, cronista politico all’Ansa, conosce direttori e vicedirettori di tutti o quasi i grandi giornali italiani, ma è a Dagospia, termometro dello stato di salute di molti potenti, che Gigi affida, dosandole come un farmacista, le sue preziose informazioni per provocare uno scossone o un terremoto là dove serve. Qualche mese fa, Italo Bocchino, numero due di Fli, sostiene che è stato Bisignani a imbeccare Dagospia sulla strada tropicale che porta a Saint Lucia e ai giornali dell’altrettanto tropicale Santo Domingo. I quotidiani dell’isola, pescati con precisione e tempismo dal sito del guru Roberto D’Agostino pubblicano una notiziola che Dago trasforma in una bomba: è proprio Giancarlo Tulliani, il fratello di Elisabetta, il padrone della casa di Montecarlo, tormentone estivo del Giornale e della politica italiana. Per Bocchino, c’è la mano di Gigi dietro la «macchina del fango» che colpirebbe Fli.Ma, vertiginoso capovolgimento, Bocchino sarebbe - e il condizionale in queste vicende a dir poco riservate è d’obbligo - un interlocutore nella mai chiarita vicenda che si svolge fra il 4 e il 9 febbraio 2010, a cavallo della nomina delgenerale Adriano Santini a capo del nostro Servizio segreto militare. Niente di illegale, sia chiaro, ma semmai una prova dei rapporti di forza. Bocchino si dà da fare: Santini, che è allo sprint finale per quel posto così ambito, vuole incontrare il presidente del Copasir Massimo D’Alema. Domanda: chi accompagna Santini fino all’anticamera di Baffino? Ma certo, è lui, il solito, inaffondabile, onnipresente Gigi. Quando avviene esattamente il meeting? Anche questo è argomento di studio dei magistrati napoletani.
Certo, Bisignani supera indenne prove che avrebbero stroncato chiunque: giovane e svelto cronista prepara la rassegna stampa per un certo Licio Gelli e il suo nome, come se non bastasse, viene trovato negli elenchi della P2. Gelli cade, lui no. Cade, in manette, solo per la maxitangente Enimont: Gigi ha portato come un postino di lusso 108 miliardi in certificati del Tesoro nel torrione blindato dello Ior. Si prende una condanna a 2 anni e 6 mesi e viene radiato dall’Ordine dei giornalisti ma si rialza. In fretta e alla grande. I suoi sponsor non sono più Licio Gelli e Giulio Andreotti, ora è diventato l’ombra di una personalità già defilata di suo come Gianni Letta, discreto ma efficiente sottosegretario alla presidenza del Consiglio, presunto anello di congiunzione fra il Cavaliere e i mitici poteri forti, uno dei pochi uomini in grado di mettere in soggezione Berlusconi. Dove c’è Letta c’è Gigi e viceversa, è la massima che s’impara in un amen nei palazzi della capitale. Ma Bisignani è vicino anche a un banchiere del calibro di Cesare Geronzi e i giornali parlano di un asse Letta-Geronzi-Bisignani- Scaroni, un anello difensivo del sistema di potere berlusconiano, ma anche una costruzione indipendente dal Cavaliere. Un network indebolito ma non sconfitto dalla recente caduta di Geronzi dal trono di Generali. E Bisignani vanta un solido rapporto anche con il Gentiluomo di Sua Santità Angelo Balducci e con molti pezzi da novanta della sua «cricca» e di quel «sistema gelatinoso di potere », come lo chiamerà il gip di Firenze, venuto allo scoperto per l’inchiesta sul G8 e i Grandi eventi. Un mondo davvero trasversale, né a destra né a sinistra ma sempre al comando e sempre in azione dietro le quinte.
Una rete, secondo alcuni di ascendenza massonica, che collega imprenditori, magistrati, alti prelati, burocrati di Stato, grand commis, politici di lungo corso, anche se lontani dalla ribalta televisiva. Il nocciolo duro del potere. Quello in cui ora sono entrati i pm di Napoli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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