Roma

Gigotti, artista camaleontico nato con il secolo

Fino al 23 ottobre sono esposte 150 opere del pittore esponente della Scuola romana che seppe passare dal tonalismo a espressionismo e astrattismo. Sua la vetrata per la villa di Quinn

Laura Gigliotti

Nonostante abbia lasciato tanti segni nella nostra città, pochi ricordano il nome del pittore romano Lorenzo Gigotti (1908-1994). Sono suoi il mosaico della Scuola antincendio dei vigili del fuoco, le vetrate per la chiesa di Sant’Eugenio, le vetrate del Centro traumatologico ospedaliero, i pannelli decorativi di sapore quasi surrealista per la Casa della madre e del Fanciullo e le vetrate della chiesa di San Giovanni Bosco, il suo capolavoro. Ben venga dunque la mostra del Chiostro del Bramante «Gigotti dalla Scuola romana alla cromia del segno», la prima antologica che ripercorre in modo non frammentario tutta la sua storia del pittore (fino al 23 ottobre, catalogo 3Diesse).
Artista poliedrico, interessante, non dimenticato ma «entrato progressivamente in un cono d'ombra», scrive il professor Claudio Strinati. Nel clima di rivalutazione dell'arte italiana fra le due guerre è lecito dunque parlare di riscoperta. Pur facendo parte della Scuola romana, Gigotti occupa una posizione piuttosto isolata, preferendo esplorare strade diverse, l'arte sacra e l'astrazione, anche se la figura non scompare mai totalmente dai suoi dipinti. Artista di successo, partecipa a Sindacali, Quadriennali, Biennale di Venezia, è apprezzato da Severini, è amico di Cagli, Capogrossi, de Chirico, Guttuso che ospita appena giunto a Roma nel suo studio di via Margutta, è ben visto da critici come Oppo.
La mostra, curata da Claudio Crescentini, presenta 150 opere che raccontano le varie stagioni della sua pittura e dell'arte a Roma. Il tonalismo della Scuola romana, l'espressionismo, il realismo, la svolta astrattista. Sono esposti per la prima volta una cinquantina di disegni catalogati dall'Archivio Gigotti che conserva dipinti, fotografie, lettere, documenti e video.
La rassegna inizia con un grande nudo d’accademia, realizzato insieme con il maestro Ferruccio Ferrazzi e prosegue mostrando tutte le sfaccettature di un pittore che usò molte tecniche, non esitando a cambiare pelle tanto da essere accusato da de Chirico di aver tradito la propria arte. Nelle prime sale le opere degli anni '30. Squarci di città, il Pincio, nature morte di taglio seicentista si alternano a soggetti intimisti come “Settimia”, al cromatismo emozionale del “Fantino” perdente e dello “Sfaticato” bagnino del Tevere. Ben presto il tonalismo appare superato dall’uso espressionista del colore e il pittore si apre a nuove suggestioni internazionali, cubiste e post-cubiste, a Kandinskij e a Chagall. Fra le opere degli anni ’50-60 “Capriolo ferito”, dipinto per la moglie e acquistato dal ministero degli Esteri. A prevalere ora è il minimalismo, le figure hanno linee essenziali, le ombre appaiono stilizzate e i colori, sempre più trasparenti, richiamano quelli delle vetrate.
In mostra al secondo piano i disegni preparatori delle 36 vetrate per la cupola di Don Bosco al Tuscolano (l’aiuto era Ennio Calabria), in cui è possibile seguire tutti i passaggi fino alla realizzazione del vetraio. È sua anche la vetrata di Sant’Antonio per la villa dell’attore Anthony Quinn a Marino. Presenti numerosi bozzetti di opere non realizzate, forse perché troppo ardite.
Negli ultimi anni, l’artista si dedica con piena libertà a una ricerca personale. I suoi dipinti diventano icone, si caricano di segni ripetuti ed evocativi, uccelli, frecce, lische di pesce. Si apre un nuovo percorso. Il pittore giunge a rifiutare le sue opere precedenti fino a cancellarle e a ridipingere.
Chiostro del Bramante, piazza della Pace, tel. 06-68809035 e www.chiostrodelbramante.it Orario: 10-20, lunedì chiuso.

Fino al 23 ottobre.

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