GIi ex capi dell’intelligence citati da Tonino

Mario Mori, sposato con due figli, entra nei carabinieri nel 1965 come ufficiale e ne scala i vertici, fino ad assumere il grado di Generale di Divisione dell’Arma. I primi incarichi a Padova, Verona e Napoli. Dopo essere stato a capo della sezione Anticrimine di Roma passa allo stato maggiore del Comando generale dell’Arma quale capo Sezione dell’Ufficio criminalità organizzata. Dal 1986 al 1990 è a Palermo. È lì che nasce l’idea del Raggruppamento operativo speciale (Ros), che guida fino al 1999, quando passa alla Scuola ufficiali e al Comando Regione Lombardia. Il 1 ottobre 2001 viene nominato prefetto e assume l’incarico di dirigere il Sisde. È stato completamente assolto dall’accusa di non aver perquisito il covo di Totò Riina dopo l’arresto, scattato il 15 gennaio del 1993, ma è ancora sotto processo dal Tribunale di Palermo insieme al colonnello Mauro Obinu per favoreggiamento: per l’accusa Mori, nel 1995, impedì al colonnello Michele Riccio di arrestare il boss mafioso Bernardo Provenzano, che secondo lo stesso Riccio allora si trovava in un casolare di Mezzojuso (Pa). A indicare il covo sarebbe stato il mafioso suo confidente, Luigi Ilardo, poi assassinato da Cosa nostra subito dopo aver accettato di collaborare con la giustizia.

Nel processo si è poi aggiunta la testimonianza di Massimo Ciancimino, il quale riferisce di contatti, peraltro già ammessi in più sedi giudiziarie da Mori e da un altro ufficiale dei Carabinieri, con il padre Vito Ciancimino in una trattativa con Cosa nostra.

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