Va a finire che Non è l'Arena verrà studiato come un «caso» della recente televisione italiana, a partire dal gesto, di cui molto si è parlato, del conduttore Massimo Giletti e del suo addio alla Rai dopo trent'anni di onorato servizio.
Lo conosco fin dai banchi del Liceo D'Azeglio a Torino, sempre stato un tipo ambizioso, intelligente e orgoglioso. Col tempo è diventato un gran professionista e ha imparato a fare dell'ottimo giornalismo televisivo senza scivolare nei tipici strepitii e risse da cortile, ha senso del ritmo e non è mai unilaterale. Un sabaudo, d'altra parte, non urla mai.
Soprattutto, se pungolato, Massimo non si tira indietro. Il trasferimento dalla corazzata di viale Mazzini all'outsider La7 poteva costargli caro. Con l'incoscienza di chi non ha nulla da perdere, rinuncia alla più comoda collocazione infrasettimanale di Non è l'Arena e lancia il guanto di sfida la domenica, in prima serata, addirittura a Fabio Fazio e alla fiction Rosy Abate su Canale 5. Uscendone benissimo, in termini di ascolti e confermando così il proprio valore aggiunto: Giletti ha fidelizzato un pubblico, proprio come accade a quei direttori di giornale che si sono conquistati credibilità e fiducia. Un pubblico disposto a seguirlo perché ne apprezza lo stile, gli argomenti e il modo di trattarli. Non manca mai di ringraziare Giovanni Minoli, da cui ha imparato molto e di cui è certamente l'erede.
Dopo aver liquidato in pochi minuti la sua vicenda personale, in un monologo stringato, sincero e mai rancoroso, Giletti riparte con convinzione. Clou della prima puntata, il 12 novembre, è l'affaire Tulliani che ha segnato l'eclissi politica dell'ex presidente della Camera Gianfranco Fini. Un'inchiesta condotta nei minimi particolari, lunga e dettagliata, costruita come un romanzo giallo con i divertenti inseguimenti dei reporter d'assalto anche se di finzione non c'è nulla. Questione tornata di attualità per il recente arresto a Dubai del «famoso cognato» che rimette in discussione le pressioni, gli abusi di potere, i favoritismi, il malcostume, ovvero l'estetica resa pratica nella stanza dei bottoni che non accenna a smettere.
Giletti e i suoi ospiti politici e giornalisti - sanno usare il registro dell'ironia, non danno risposte demagogiche e lasciano aperto il giudizio al pubblico. Invece di puntare alla pancia, di cavalcare la rabbia, Non è l'Arena sollecita l'intelligenza, chiedendo ai telespettatori di costruirsi un'idea e non limitarsi ai preconcetti, di analizzare i fatti in modo plurale. Poiché la fascia di età del consumatore di tv risulta abbastanza elevata, l'altro tema portante affronta l'annosa questione delle pensioni. «La pensione si allontana ma il vitalizio non si tocca», recita uno degli slogan. Il conduttore espone dati aritmetici e dà spazio al pensiero di chi lavora e lo dovrà fare ancora per molto.
Tutti d'accordo che la disparità di trattamento tra la vita reale e la politica deve finire. A non esacerbare gli animi e mantenere l'eleganza contribuisce l'allestimento dello studio, di gusto minimale e contemporaneo.
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