Giobbe Covatta: «Vi racconto la mia Africa»

Maria Letizia Maffei

«Si era nella notte dei tempi e Dio era ancora immensamente piccolo» recita un famoso aforisma di Giobbe Covatta, quasi a voler giustificare che alcune cose accadono per errori fatti in tempi assai remoti, per cui è difficile individuare soluzioni al presente. Umanamente comico e spietatamente devoto alla sua missione, Giobbe ha scelto, ormai da molti anni, un obiettivo altro al suo far ridere, quello di farci vedere. Napoletano di nascita e solidale di adozione, Giobbe Covatta ci racconta il mondo da un punto di vista in bianco e nero, dove i bianchi hanno sempre una furba possibilità, mentre i neri sono comicamente spacciati. Dalla sua indole partenopea ha ereditato la leggera consapevolezza di chi vive a Sud del mondo; dal suo impegno sociale ha sperimentato l’energia dirompente che nasce da un sorriso.
In scena con «Recital», scritto e diretto da lui stesso, si fa accompagnare in questo «gioco dell’Oca» estivo dal versatile Stefano Sarcinelli.
Se la vita è un gioco dell’Oca, il primo problema è quello di essere fortunati ai dadi. Ma chi è più fortunato oggi?
«Il gioco da tavola è un pretesto per raccontare la mia Africa, cioè storie e motivazioni del difficile rapporto tra primo e terzo mondo, tra il frivolo ed il serio. I fortunati ai dadi non ne sono consapevoli; ieri a Bologna ho visto un povero giovane nero vestito di stracci che era chiaramente in difficoltà. Questa è la casualità della vita; poteva accadere a me o a chiunque altro. Se fosse accaduto a Fellini, non l’avremmo mai conosciuto!»
Le è mai capitato di fare un tiro particolarmente fortunato?
«Certo che sì, sono fortunatissimo, con tutti i privilegi non solo del colore della pelle ma anche della mia classe sociale. Ho conosciuto un panettiere romano, che vive in Africa con la sua pensione, ha tre persone a servizio e una bella casa. I figli lo vanno a trovare e invece di fermarsi un giorno rimangono un mese. Non lo potrebbe certo fare a Roma, ma lì sì. Questo è un tiro fortunato!»
Nello spettacolo enuncia i Dieci Comandamenti, a che scopo?
«Faccio un’analisi molto poco seria di quello che è il rispetto della legge di Dio in un paese di persone coinvolte da una grande misticità. La constatazione finale è disastrosa: non c’è un Comandamento che venga rispettato».
Da poco siede al tavolo del Consiglio comunale con la carica di delegato alla Cooperazione Internazionale; cosa la preoccupa di più?
«Inizieremo a lavorare seriamente a settembre. In questo ruolo ho grandi stimoli, un po’ d’esperienza e conosco i meccanismi poco entusiasmanti. Ma la cosa che mi preoccupa è che i comici, da sempre, hanno detto la verità scherzando, mentre i politici hanno sempre detto assurdità con modi seriosi.

Adesso che mi trovo tra le due sponde cosa farò? Riuscirò a mantenere il mio privilegio di buffone di corte?»
Con il suo particolare «gioco dell’Oca» Covatta sarà protagonista domani sera (ore 21.30) ai Giardini della Filarmonica Romana di via Flaminia 118 per la rassegna «I Solisti del Teatro». Biglietti 12 e 10 euro.

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