Giochi psicotici in famiglia Al Piccolo l’opera di Bernhard

Chi sono «Ritter Dene Voss» e soprattutto cosa sono nella lingua tedesca? Non sono nulla. O meglio, non sono nient’altro che i nomi di battesimo di tre grandi attori della Magna Mater Germania che l’austriaco Thomas Bernhard, uno dei più grandi drammaturghi del Novecento, scelse come modelli della più bizzarra commedia di costumi che sia mai stata scritta. Bernhard in «Ritter Dene Voss» mette in scena tre simboli della nostra piccola Europa. Un paese dall’anima alla deriva, cui resta in eredità, nella follia che lo abita ogni giorno di più, solo la cronaca spicciola delle ultime illusioni nello spazio chiuso di un carcere, che l’autore identifica con la famiglia borghese. In quell’elegante living room dove, giunti all’ultima tappa prima del silenzio, un fratello e due sorelle continuano a ripetere, senza crederci più, i gesti abituali del quotidiano, si agita il germe impietoso della pazzia: il fratello, reduce da una clinica psichiatrica, tra un ricovero e l’altro, fa ritorno alla casa dei padri che l’ha visto nascere solo per aizzare una contro l’altra le sorelle come il più cinico e impietoso dei domatori da circo. Ma chi sono queste donne che, incapaci di reagire con le limpide armi della ragione, si sono rassegnate a condividere col loro carnefice questo feroce gioco al massacro? Non sono altro - ci spiega Bernhard - che due attrici. Le quali, e qui sta il nucleo esasperato e grottesco della situazione, fanno solo saltuarie apparizioni sulla scena. Infatti il loro teatro è la casa da cui non possono evadere, questo salotto-sala da pranzo-dormitorio-pensatoio del tempo che fu, dove si accaniscono a servire piatti immangiabili, ad ascoltare le tiritere immonde e patetiche dell’unico maschio padrone. Dentro la tomba elegante ma asfittica, costellata dai ritratti degli antenati, che il regista Piero Maccarinelli ha immaginato come loro estrema dimora, il demoniaco terzetto di questi fantasmi in carne ed ossa che s’illudono di trovare una residua ragione di vita nell’ossessivo confrontarsi uno con l’altro con le armi della cultura, tre magnifici attori dell’Italia di oggi sezionano con furore ogni sillaba di questo testo straordinario. Dove la filosofia del passato, l’arte del secolo scorso, la perfetta educazione che regna nelle loro parole non li salverà dal disastro. In un carosello di incredibili boutade, di raggelanti scherzi, di ipotesi che mai giungeranno alla realizzazione.

PeMerito a un grande Massimo Popolizio - appena laureato, per questa interpretazione, del Premio Olimpici del teatro - e alle sue splendide sorelle, l’ape-regina traboccante di maliziosa sensualità Manuela Mandracchia e la scatenata, effervescente Maria Paiato, un’attrice che fa storia a sé.

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