Gioni alla Biennale Indipendente da tutto ma non dal mercato

Gioni alla Biennale Indipendente da tutto ma non dal mercato

di Vittorio Sgarbi

Lionello Venturi, Roberto Longhi, Rodolfo Pallucchini, Giuseppe Marchiori, Giulio Carlo Argan, Cesare Brandi, Francesco Arcangeli, Giuseppe Marchiori, Giuseppe Mazzariol, Giuliano Briganti, Corrado Maltese, Maurizio Calvesi, Franco Russo, Enrico Crispolti, Luigi Carluccio, Jean Clair, Lorenza Trucchi, Renato Barilli: sono alcuni dei critici e storici dell’arte che hanno avuto la direzione delle arti visive della Biennale o la cura del Padiglione Italia. Nel caso di Longhi, Arcangeli, Briganti, Pallucchini studiosi completi che hanno scritto di pittura antica e hanno praticato in perfetta coerenza la cosiddetta critica militante. Con il progredire dell’ignoranza e degli schieramenti in gran parte legati al mercato, il critico - non diciamo lo storico - è sparito per lasciare spazio all’ibrida figura del «curatore indipendente» al cui modello si ispirano moltissimi giovani che prestano il loro servizio a margine di mercanti d’arte contemporanea che spesso godono della protezione e della garanzia di musei compiacenti. Privato e pubblico si sostengono vicendevolmente in un’opera di mutuo soccorso nella quale i «curatori indipendenti» si muovono disorientati, ma sicuri di stare dalla parte giusta. Il privato che servono, li fa sentire «indipendenti». Non hanno cioè un ruolo ma credono di poter indirizzare, sul piano della persuasione, i loro molto riconoscibili padroni: generalmente potenti industriali della moda che si compiaciono di far diventare moda anche l’arte. I loro potenti referenti sono Prada, Trussardi, Pinault che guidano e orientano il mercato e allevano anche i «curatori indipendenti». La loro palestra è la rivista Flash Art che vive della pubblicità delle gallerie private d’arte contemporanea, e non necessariamente i loro studi sono comprovati da lauree, studi, ricerche. Con la complicità di direttori di musei hanno allestito mostre assumendone la responsabilità «curatoriale», naturalmente «scientifica»...
Così, se uno cerca di capire quali studi abbia fatto il nuovo direttore delle arti visive della Biennale di Venezia, Massimiliano Gioni - pensando a Longhi, Arcangeli, Calvesi, Carluccio e anche Barilli - scopre che si è occupato (originalmente) di Maurizio Cattelan; che ha fatto l’editor di alcune case editrici; che ha curato mostre di Paola Pivi al cui nome la reazione è: «Pivi chi?». Tra le sue imprese più memorabili l’esposizione, come una mongolfiera, di un pallone a forma di ragazzo sospeso sull’Arena di Milano, di Pawel Halthamer, per cui preferì chiedere il patrocinio dell’assessore allo Sport piuttosto di quello alla Cultura (che ero io), immaginando la mia risposta nonostante potesse contare sulla tutela autorevole di Beatrice Trussardi. Così va il mondo «della moda».

Ed eccoci Gioni alla Biennale, con il plauso di tutti quelli che non si sentiranno mortificati dalla sua mostruosa conoscenza dell’arte, e che potranno dire: piace anche a me. Senza essere disturbati, nella loro estasi, da qualcuno che gli riveli che il re è nudo.

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