Monica Bottino
Cè stato il tempo dei paesaggi, quello dei riflessi sul mare, quello dei tetti. Ma ogni tempo, per un grande artista che non è mai uguale a se stesso, passa. Per lasciare il posto a una nuova suggestione. Non è mai facile parlare di Giorgio Oikonomoy. Si resta un attimo intimiditi, come investiti da un fiume in piena che travolge e avvolge: architetto, pittore, scultore, ceramista e ancora pittore. Ma anche poeta. Un uomo, prima di tutto, che vive intensamente e che getta sulla tela emozioni «pensate», riflessioni che arrivano dal profondo e che nascono da quel territorio a metà strada tra la Grecia - sua terra natìa - e la genovesità conquistata negli anni.
Sì, la genovesità. Quella che un greco come Oikonomoy ha saputo, meglio di altri, esportare nel mondo. Quella che non gli viene riconosciuta a dovere - è spontaneo affermarlo - dalla Genova della Cultura dei loghi (vedi 2004), dei luoghi comuni, di quella certa ristrettezza mentale incapace di accoglienza.
Ma lui Genova la ama. E la porta a spasso sottobraccio. Come nella mostra appena aperta a Napoli, a Castel dellOvo, dove fino al 30 giugno si tiene la mostra «Giorgio Oikomonoy. Lidentità spirituale nel classicismo mediterraneo». Un invito da parte del Comune di Napoli e il patrocinio del Consolato Generale di Grecia segnano unintesa che ha portato lartista genovese a discendere lItalia con trenta grandi dipinti che spaziano dal classicismo ellenico al barocco genovese.
Dopo il successo della mostra di Atene dedicata al ritorno dei giochi olimpici con richiami espliciti al barocco genovese, due anni fa, lartista ritorna a parlare di Ulisse - suo alter ego - alla ricerca della propria Itaca. Rosso scuro, oro abbagliante, riflessi bianchi, il verde intenso, un blu che avvolge. I colori sono un linguaggio di gioia e - allo stesso tempo - un richiamo costante allinfinito. Lequilibrio estetico regalato dalla classicità è arricchito dal Barocco in un rincorrersi di volti umani e figure di animali di grande tragicità.
La mostra propone al visitatore immagini che grondano colori e che suggeriscono grandi icone della classicità greca che si specchiano nella quotidiana genovesità delle figure dei palazzi del centro antico.
Sembra di cogliere tutto al primo sguardo. Eppure, a ben vedere, tutto sfugge.
Lo spiega il critico Vittorio Sgarbi che ha curato la prefazione del catalogo. «Cè qualcosa che incrina la serenità della visione, un effetto delle sostanza pittorica che non sai se interpretare come un non finito, o come il primo segnale di un dissolvimento destinato a far svaporare nel nulla le presenze di tanti celebri capolavori della classicità».
Lo spiega lartista. «Il colore cola perché vuole essere un pensiero evanescente, unopinione e non unaffermazione totalizzante e totale. Una riflessione di unOikonomoy di 60 anni, fra poco, che continua a cercare». Come Ulisse.
Ma quando Oikomonoy finirà di cercare? Mai, se è vero che unartista non vive senza larte. Tantomeno la personalità poliedrica di Oikomomoy può vivere senza percorrere forme darte diverse, e, per dirla con Sgarbi «... con Oikonomoy ci troviamo di fronte a un factotum post-rinascimentale che concepisce secondo una sostanziale unità i mestieri di architetto, designer, pittore, scultore, grafico, ceramista, bozzettista di manifesti, francobolli, vetrate e tutto quanto gli si potrebbe chiedere. Cè un senso antico dellarte in queste capacità poliedriche di Oikonomoy, una disponibilità a considerare ciò che si è in grado di fare non come qualcosa di individuale, ma come risorsa da mettere al servizio degli altri perché risulti di beneficio comune».
E un ultimo segnale di questa universalità che contraddistingue lopera di Oikonomoy, va cercato nellaccostamento di immagini e poesie, scelte da Mariaurelia Viotti tra i versi di Ungaretti, Quasimodo, Fortini, Goethe, Kavafis. Rime che abbracciano le tele, quasi per accompagnarle nellanimo dei visitatori.
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