Gian Micalessin
L’ultima soglia è già stata superata, la guerra civile è ben oltre le porte, ma - da ieri notte - anche l’estremo limite per una riconciliazione sembra calpestato. Sepolte le sei vittime cadute in due successivi agguati ai militanti di Hamas, concluso l’assalto fondamentalista alla radio dell’Autorità Palestinese di Khan Younis, terminati gli assedi alle banche per incassare gli stipendi, a mezzanotte si è consumata l’estrema rottura tra il presidente Abu Mazen e il governo di Hamas.
Lui Abu Mazen, il re tentenna improvvisamente irremovibile, rifiuta qualsiasi modifica al cosiddetto “piano delle carceri” e conferma la volontà di mandare avanti il referendum che rischia di mettere fuori gioco l’esecutivo integralista. Ma il rischio più grande è quello di un deflagrare delle polveri, di un’inarrestabile esplosione di violenza capace di trascinar via assieme al governo di Hamas anche la presidenza e l’ultima parvenza d’Autorità Palestinese. Di certo la guerra civile, parola inesistente secondo il premier Ismail Haniyeh nel vocabolario palestinese, sembra, oggi, un monolite di granito sospeso sulle sabbie di Gaza. Ieri centinaia di dipendenti pubblici hanno dato l’assalto alle banche per incassare la prima fetta di pagamenti promessa da Haniyeh. Solo pochi sportelli, nonostante le promesse dell’esecutivo, avevano ricevuto, però, i fondi governativi.
I regolamenti di conti intanto si susseguono notte e giorno. Il più plateale è l’assalto alla sede della radio dell’Autorità Palestinese(vicina ad al Fatah) di Khan Younis. L’edificio circondato dai militanti integralisti viene preso d’assalto da uomini armati che sfondano porte e cancelli e minacciano i dipendenti dell’emittente. «Siete tutti collaboratori», urlano gli assalitori mentre costringono tecnici e giornalisti a sloggiare. Poi i kalashnikov aprono il fuoco sui trasmettitori mettendo a tacere una delle ultime voci favorevoli a Mazen. L’assalto è una rappresaglia per gli agguati della notte e l’attentato della mattina costati la vita ad almeno sei persone, fra cui due militanti fondamentalisti, due dei loro familiari e almeno due civili innocenti. L’attentato della mattina colpisce una casa del campo di Jabalya fatta esplodere con un ordigno posizionato all’ingresso. La deflagrazione uccide sul colpo uno dei militanti fondamentalisti del campo, ferisce la figlioletta di otto anni e un altro familiare della vittima.
A questo concentrato di violenza casalinga s’aggiunge, in serata, un’incursione degli elicotteri israeliani alla caccia delle cellule responsabili dei lanci di missili Qassam dal nord della Striscia di Gaza. La vittima designata è Imad Asaliyah, un veterano dei Comitati di Resistenza Popolare. Accanto al suo cadavere e alla sua macchina disintegrata, i barellieri raccolgono un altro cadavere e tre feriti in gravissime condizioni, probabilmente componenti del commando.
Ma il pericolo maggiore in queste ore è lo scontro intestino. Il vero punto di non ritorno, la dichiarazione di guerra aperta è quel referendum sul cosiddetto “piano dei detenuti” che accettando il progetto di “due stati” riconosce implicitamente la legittimità d’Israele. Quel piano in 18 punti, preparato nella prigione israeliana di Hadarim, comprende tra le cinque firme dei suoi promotori quella del segretario generale di Fatah, Marwan Barghouti, e quella del leader di Hamas Abdel Halek Natshe. Sfruttando la firma di un rappresentante dei detenuti che Hamas non può delegittimare, Abu Mazen ha dato dieci giorni di tempo all’esecutivo fondamentalista per accettare il piano. Scaduto alla mezzanotte di ieri il termine ultimo, il presidente sembra pronto a convocare un referendum dalle potenzialità devastanti.
Secondo gli istituti di sondaggio palestinesi, il piano ha l’appoggio della maggioranza degli abitanti di Gaza e Cisgiordania e rischia di delegittimare il governo costringendolo alle dimissioni. Ma prima di arrivare al voto Mazen deve riuscire a farne passare la convocazione. La costituzione palestinese non consente, secondo alcuni, la convocazione di un referendum per decreto presidenziale, ma richiede l’approvazione del Parlamento. Mazen sostiene di essere perfettamente legittimato ad agire dalla situazione d’emergenza causata dal rifiuto di Hamas di riconoscere Israele e i trattati approvati in passato dall’Anp.
«Vuole soltanto imporci quel documento, farlo passare sopra le nostre teste come se si trattasse di un testo sacro e noi non possiamo accettarlo», replicava, invece, il portavoce di Hamas Sami Abu Zuhri annunciando l’estremo «no» all’ultimatum presidenziale.
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