La giornata più lunga tra l’ufficio e il web

MilanoDavide Boni, il presidente leghista del consiglio regionale della Lombardia indagato per corruzione, resta al suo posto. Ieri il faccia a faccia in via Bellerio con lui che mette sul tavolo le dimissioni e Bossi che ruggisce («Tu ti dimetti quando lo dico io»). Oggi nuovo appuntamento, presenti anche Maroni e Calderoli. E Boni che ieri mattina è arrivato come sempre al Pirellone, il capolavoro di Gio Ponti che ospita i membri del parlamentino lombardo. E come sempre si è chiuso al venticinquesimo piano. Selezionatissimi i collaboratori ammessi e nessuna dichiarazione dopo che, l’altro giorno ancora a botta calda, si era dichiarato estraneo a ogni addebito.
«Buongiorno eccomi, scusate il ritardo... nottata un po’ agitata... ora però sono in ufficio oggi sarà una giornata lunga.... comunque vi auguro ogni bene... si comincia con gli appuntamenti...», il messaggio postato come al solito su Facebook. Ma subito si capisce che di normale ormai non c’è proprio più niente. Perché l’avviso di garanzia consegnatogli dalla Guardia di finanza proprio nel bel mezzo della seduta del consiglio di martedì, ha travolto qualsiasi possibilità di normalità. Nella sua vita, ma soprattutto nella Lega a cui Boni deve perfino l’amore di Claudia, la (seconda) moglie conosciuta sulle rive del Po, alla catena umana organizzata nel ’96. Perché l’indagine per corruzione che lo ha coinvolto insieme al capo segreteria Dario Ghezzi per presunte tangenti tra il 2008 e il 2010 quando era assessore regionale a Urbanistica e Territorio, segnerà per sempre uno spartiacque nella storia del Carroccio. Che, se si esclude l’ormai archiviato caso Enimont, con faccende di mazzette e indagini giudiziarie ha ben poca familiarità. Come testimonia il malessere dei militanti che subito deborda nonostante La Padania ieri non abbia nemmeno messo l’indagine in prima pagina. «Vuoi vedere che a confronto quelli della vecchia Dc e del Psi erano dei francescani?», sfotteva ieri il forum dei Giovani padani. «A l’osel sgord crepa al gos», il proverbio in mantovano stretto (ma comprensibile anche fuori Padania) per lui che è di Sabbioneta ed è stato il primo presidente di centrodestra della Provincia di Mantova, quando il Carroccio viaggiava con il vento della secessione in poppa.
Tutt’altro clima rispetto a oggi, con i colonnelli già pronti alla resa dei conti. Perché nella Lega è sempre guerra di tribù. E dopo i trascorsi con Roberto Calderoli, Boni si era ultimamente avvicinato ai maroniani «barbari sognanti». Motivo per cui il primo a tentare di affondarlo è stato il leader veneto Giampaolo Gobbo («Dovrebbe dimettersi, io lo farei»). Lui, assicura chi gli ha parlato, «aspetterà disciplinatamente gli ordini di Bossi». E qui già tutti pensano al congresso nazionale della Lega Lombarda che il consiglio nazionale di lunedì ha fissato dall’1 al 3 giugno. Snodo decisivo per ridisegnare la mappa del potere leghista dopo i dieci anni del regno di Giancarlo Giorgetti.

Il «delfino» che forse lascerà il passo alla sfida tra il maroniano di ferro Matteo Salvini e il cerchio magico di Marco Reguzzoni. Ma, «con i magistrati di mezzo - taglia corto un colonnello - di qui a giugno c’è un’era geologica».

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