Prima della «Commedia umana» ci furono il melodramma a tinte fosche, le escursioni nellesotico e la pruderie da sacrestia. E prima di Honoré de Balzac ci furono Lord RRoone e Horace de Saint-Aubin, suoi altisonanti pseudonimi. Inoltre, prima degli allori conferiti dalla gloria, nazionale e internazionale, ci fu la vergogna della censura. Del resto è normale che a 23 anni si abbia voglia di sperimentare e di rischiare, per il proprio piacere e per laltrui dispetto. Addirittura volgendo poi in positivo, con arguta mossa propagandistica da consumato mestierante, la condanna subita. Nella prefazione a Annetta e il colpevole, uscito nel 1824, leggiamo infatti: «Il mio povero libraio ha reclamato, e per poco non credette che io fossi obbligato a dargli di che inumidirsi la gola, se non mi fossi ricordato che quei poveri diavoli degli autori rassomigliano a Cassandra, sempre esposta ad essere ingannata. Ah! La più bella metà delledizione del Vicario fu annichilita sotto il fulmine che colpì lIstoria filosofica delle Indie e lEmilio; e questo pensiero mi consola, poiché se anche la mia opera fosse colpevole, non ho di che pentirmene, perocché devo congratularmi meco stesso di questa rassomiglianza dun povero opuscoletto con quei grandiosi monumenti \».
Due anni prima, il «povero opuscoletto», cioè le... oltre 400 pagine di Il vicario delle Ardenne, erano diventati un «caso letterario» per il loro scandaloso contenuto, con preti gaudenti e beoni, negri stupratori, fanciulle seduttrici, tardone a caccia di carne fresca e, soprattutto, un paio di amori incestuosi. Il vicario del titolo è un bel giovane atletico e di carnagione scura giunto ad Aulnay-le-Vicomte, un paesino delle Ardenne, come supporto a padre Gausse, sorta di don Abbondio il quale, come il corrispettivo manzoniano, non può darsi il coraggio, e si limita a intravederlo in fondo ai bicchieri di vino che scola a tuttandare. La piccola comunità, sindaco in testa, sinterroga e spettegola come da copione: da dove arriva costui? La risposta... tarda ad arrivare, dipanandosi a spizzichi e bocconi in un centinaio abbondante di pagine, dove apprendiamo il motivo dellumor nero che attanaglia laffascinante ventiduenne Joseph: la separazione dalladorata sorella Mélanie dopo la parentesi idilliaca nelloriginaria Martinica, in una specie di paradiso terrestre in cui i due fanciulli hanno vissuto alla maniera di Adamo ed Eva in compagnia della mamma adottiva. È questo, il primo amore incestuoso.
Per assistere al secondo, dobbiamo trasferirci nuovamente, armi e bagagli, nelle Ardenne, al castello della marchesa Josephine de Rocourt, una dark lady trentaseienne anchessa vittima del mondo crudele: il bimbo avuto in tenerissima età da un ecclesiastico, Adolphe, successivamente divenuto nientemeno che vescovo, le fu sottratto. Si sa come vanno queste cose, una lacrima tira laltra, e quelle del vicario si mescolano volentieri a quelle della marchesa, la quale nutre subito per lui un affetto non proprio materno... Invece dovrebbe, visto che, udite udite, il frugoletto strappatole dalle braccia è proprio Joseph.
Insomma, a metà percorso, siamo già in possesso di una massa ingente di materiale narrativo che sarebbe sufficiente per imbastire altri tre romanzi. E il ragazzo Balzac, che nella prefazione si è definito un «baccelliere» appesantito da «grossi ipocondri», dunque piuttosto umbratile come il proprio eroe, dimostrandosi precoce affabulatore impiega il resto della storia a mischiare ulteriormente le carte, gettando langelica Mélanie in pasto ad Argow, il pirata responsabile dellammutinamento sulla nave che laveva riportata in Francia con il fratellino e riciclatosi nel frattempo, grazie alla fortuna accumulata con mezzi tuttaltro che leciti, come signor Maxendi. Ma il prelibato bocconcino non finirà tra le fauci del Cattivo, bensì a versare altre, copiosissime lacrime, sul petto del Buono, cioè, ovviamente, di Joseph. E lo farà nella ritrovata illibatezza, non nel peccato. Infatti, la seconda rivelazione che imprime laccelerata finale, dopo quella che ha spinto sullorlo dellesaurimento nervoso la marchesa, è la seguente: il vicario e Mélanie non sono fratelli. Che bello, amore mio, ora sì che possiamo consumare alla grande senza più nasconderci, gongola il religioso tronista ante litteram. Allepoca, tuttavia (siamo, ricordiamolo, nel 1822), lhappy end non era ancora stato inventato: così lAutore, consigliato dai suoi ipertrofici ipocondri, non trova di meglio che affidarsi alla morte per consunzione della piccola e indifesa Bovary meticcia. E piansero tutti felici e contenti.
Ora, fermo restando che Balzac non è certo passato alla storia della letteratura grazie al Vicario delle Ardenne, a noi pare eccessivamente lunga lattesa, durata 174 anni, della seconda edizione italiana di questo «povero opuscoletto» che possiamo considerare un... pre-classico. Dopo i benemeriti Gaspare Truffi e Soci di Milano, nel 1837, sono gli Editori riuniti (pagg. 423, euro 9,90, traduzione di Francesca Milaneschi) a colmare la lacuna nella collana «Asce», dedicata al recupero di opere «minori» dei «maggiori», da Dostoevskij a James, da Dumas a Hugo.
Fra laltro, se si volesse assecondare il sottile frisson perverso suscitato dallamore più che fraterno tra Joseph e Mélanie, lo si potrebbe leggere in parallelo con lo stretto rapporto che unì il «baccelliere» Honoré alla sorella Laure (di lei si veda Balzac mio fratello, Sellerio, 2008), lunica che, in famiglia, prendesse sul serio la sua professione di scrittore.
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