Il giovanilismo che non rispetta gli anziani

Caro Dott. Granzotto, qualche giorno fa un suo affezionato lettore si lamentava dei troppi e insopportabili rumori che mettono a rischio il nostro udito. Al lungo elenco di motivi per cui bisognerebbe vivere con i tappi alle orecchie ne aggiungerei uno di più recente acquisizione: la musica ad alto volume che da qualche tempo viene «offerta» ai clienti di negozi e supermercati. Non si capisce perché uno che vuole comperarsi un chilo di pasta, un litro d’olio o un pollo arrosto, debba trovarsi con i timpani lesionati. A volte mi è capitato di entrare in qualche supermercato e, appurato che i decibel superavano di gran lunga le mie capacità di assorbimento sonoro, ho girato al primo scaffale e ho guadagnato la via d’uscita. Qualche giorno fa sono entrato con mia moglie in un negozio di abbigliamento. La musica era talmente alta che non riuscivo a sentire la sua voce. Mi sono quindi avvicinato alla commessa chiedendo come mai ci fosse un volume così alto. La commessa mi ha risposto: «Ma questo è un negozio per giovani...». Ci siamo guardati e siamo subito usciti dal negozio, rinunciando a spendere quel paio di cento «euri» che ci eravamo prefissi per un regalo a nostro figlio. Forse il negoziante avrebbe dovuto mettere sulla porta il cartello di divieto di accesso per i non più giovani! In ogni caso, liberi loro (i giovani) di intronarsi con la musica spaccatimpani, ma perché non farlo a casa propria?

Mi segua, caro Calderari: le nuove leve entrano in pista - si comportano cioè da semiadulti - attorno ai quattordici, quindici anni. Paghetta (uno dei nuovi diritti umani), sesso, shopping, vita notturna, indipendenza di costumi e condotta. E vi rimangono, in pista e da «giovani» (il venerato totem della società, la classe anagrafica eternamente candidata a cambiare il mondo, a prendere in mano le redini del Paese, mandando a dar becchime ai piccioni il giurassico, incapace, stupido vecchiume che da sempre lo governa, lo amministra, lo fa progredire, il mondo, e corrisponde a fine mese le paghette), vi rimangono, dicevo, fino a quaranta-quarantacinque anni. Esempio di gran pondo: quella simpatica patatona di Debora Serracchiani. Costei, universalmente nota come la rappresentante dei giovani - ripeto: giovani - «sinceri democratici» ai quali la vecchia guardia rossa intende (a parole) consegnare il partito perché lo rimpannuccino più bello e più forte di pria, compirà quarant’anni a novembre. E non è finita qui, perché gli ultraquarantenni hanno ancora davanti a sé una decina abbondante di anni da «giovanilista» e, per i più ostinati, da bamboccione. Insomma, caro Calderari, qui si diventa adulti attorno ai cinquant’anni e non si fa nemmeno in tempo a goderseli che zacchete, già si è vecchi e molesti babbioni, intralcio a quell’Araba fenice che chiamasi ricambio generazionale del quale, per altro, già parlava Anacreonte e, prima di lui, il Faraone Tuthmosis III, re dell’Alto e Basso Egitto. Chiaro fin qui? E allora veniamo al dunque: con un arco temporale di attività (di ricreazione, diciamo pure) così esteso, è gioco forza che la giovanilità o giovanilezza, scelga lei, abbia finito per marcare i costumi. Quel che piace a loro - ad esempio la musica assordante o l’andazzo spavaldo di dare del tu - deve piacere anche ai non giovani e se questi non ci stanno, föra di pe’. Lamentarsi è inutile, caro Calderari, bisogna prendere atto punto e basta (e resistere, resistere, resistere.

Farglieli sospirare, i nostri ruoli, come ce li fecero sospirare quelli che vennero prima di noi. Mica per cattiveria, e chi non vuole bene ai giovani? Ma perché se c’è la fila, in fila ci si mette. E senza spingere).

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