da Roma
Giovanna Mezzogiorno è così. Un giorno - l'anno scorso - gira Lamore ai tempi del colera, una «megaproduzione» (come la chiama lei) hollywoodiana accanto all'oscarizzato Javier Bardem, e appena tornata in Italia si mette al servizio di un regista quasi esordiente, l'abruzzese Stefano Chiantini con il suo L'amore non basta (girato in gran parte a L'Aquila), al fianco di un giovanissimo attore come Alessandro Tiberi. Una scommessa, tanto che lo stesso regista non fa fatica ad ammettere i suoi iniziali dubbi: «Non credevo che Giovanna - che per me rimaneva un monumento - potesse prendere in considerazione la sceneggiatura. E invece è successo grazie anche a Rocco Papaleo che ha scritto il film con me, oltre a interpretarlo, ed è suo amico. Lei mi ha chiamato, è stata dolcissima, super professionale e mi ha molto aiutato». In tutti i sensi perché è anche grazie al nome della Mezzogiorno che L'amore non basta esce venerdì prossimo in un centinaio di copie.
Storia appena accennata di tormenti d'amore tra la hostess Martina (Giovanna Mezzogiorno) e Angelo (Alessandro Tiberi) che alternano momenti di grande emozione ad altri di inquietante incomunicabilità. Perché, dice la Mezzogiorno nel film, per andare avanti in una relazione «l'amore non basta». Concetto che sostiene anche dal vivo, mise molto informale e i «soliti» occhi azzurri in cui è facile perdersi: «Lamore non è sinonimo di felicità perché non sempre cè equilibrio e rispetto dell'altro. Bisogna avere il tempo di cercare queste cose».
Lei le ha trovate?
«Tante volte ho amato e sono stata infelice perché cera frustrazione e possessività. Ma non mi piace finire le storie facilmente».
Come ha scelto questo «piccolo» film?
«È il mio primo lavoro italiano dopo L'amore ai tempi del colera e per me è importantissimo. Non cè una scelta stilistica particolare nella mia carriera ma mi piace fare cose diverse tra loro. Penso che sia un film molto diverso rispetto a quelli romanticamente convenzionali che vanno oggi per la maggiore».
Ma tornerebbe a lavorare a Hollywood?
«Assolutamente sì perché impari sempre qualcosa. Oltretutto in America cè più rigore, ci sono più mezzi ma, paradossalmente, tutto è spartano. Gli attori vengono viziati molto meno e non si accettano le loro bizze che, giustamente, vengono represse sul nascere».
In L'amore non basta il suo personaggio segue molte attività ma non ne conclude nessuna. C'è qualcosa che anche lei non riesce a ultimare?
«Quasi tutto, io non faccio altro che l'attrice. Ho solo la maturità linguistica e non mi sono laureata, cosa che oggi considero un grave buco. Mi piacerebbe seguire molte più cose ma, per il mio lavoro, è difficile anche iscrivermi a un corso. È una questione che mi crea non poche frustrazioni. Vorrei rallentare e dedicarmi un po' di più a me stessa».
Intanto tra un mese sarà sul set di Vincere di Marco Bellocchio nei panni di Ida Dalser, prima moglie di Mussolini. Che aspettative ha?
«Molto alte. È un'avventura molto impegnativa e la lavorazione sarà lunga e difficile. Ma sono onoratissima e felice perché sono stata scelta con un provino da Bellocchio dopo che lui ne ha fatto tanti. Sarà però una fatica nera».
Guardandosi indietro avrebbe mai detto che sarebbe giunta fin qui?
«Mai. Oltretutto non volevo fare questo mestiere che mi faceva vomitare perché fin da quando sono nata mi dicevano: Che bella bimba, farai l'attrice come mamma e papa?. Poi per fortuna ho scoperto la bellezza di che cosa si prova andando in scena».
Pensa mai alla maternità?
«Ho 33 anni ed è chiaro di sì. Ma non mi sento di corsa».
Al di là del suo lavoro cosa le piace fare?
«Niente di particolare. Faccio una vita normale, vedo film, leggo, invito gli amici a cena».
Lei si è definita «una di sinistra che non ama questa sinistra compromissoria». Domani voterà?
«Sì, ma la prego non tocchiamo questargomento. Non mi voglio buttare a terra davanti a lei e fare una scena orribile».
Peccato.
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