Gianluigi Nuzzi
da Roma
Il gruppo Magiste di Stefano Ricucci si avvia verso il fallimento, che potrebbe essere anche lanticamera della bancarotta. I sostituti procuratori di Roma Giuseppe Cascini e Rodolfo Sabelli stanno valutando in queste ore se presentare istanza di fallimento. A sollecitarla sembra quasi il gip Orlando Villoni nellordinanza di custodia cautelare che martedì ha portato Ricucci in carcere. Saltate quindi le scalate a Bnl, Antonveneta e Rcs, dopo aver cercato con ogni mezzo illecito di «rientrare in partita» come confidava lui stesso agli amici, lex re del mattone aveva iniziato a spogliare i conti di Magiste prevedendo il peggio. «Magiste verserebbe - osserva il Gip - in una situazione oggettivamente prefallimentare» resa più grave dalle «appropriazioni indebite aggravate» addebitate a Ricucci. Per il Gip nelle ultime settimane limmobiliarista ha portato avanti «condotte di sottrazione in danno delle varie società»: ecco i «trasferimenti su conti esteri personali di denaro della società per importi rilevanti eseguiti anche nel periodo più recente». Ecco il «trasferimento di beni immobili da società del gruppo ai genitori di Ricucci». Queste condotte potrebbero trasformarsi «in caso di dichiarazione di fallimento, nel più grave delitto di bancarotta patrimoniale».
Ed è proprio questa cornice di disperazione che inquadra lagire di Ricucci, da raider che partecipava a concerti e scalate a manipolatore di bilanci e realizzatore di sempre più spericolate e illecite operazioni finanziarie. Con un gruppo che, tolte le speculazioni in Borsa che avevano fruttato oltre 20 milioni, non macina più entrate. Lattivo crolla. Uniche rendite rimangono gli immobili, tutti vincolati. Tanto che gli investigatori del Valutario delle Fiamme gialle, considerando il patrimonio e lindebitamento con Bpi di 800 milioni, ipotizzano un eventuale «buco» da 100 milioni.
Ricucci aggrava la sua posizione, si affida a faccendieri e spericolati brigadieri, imbastisce scapestrate operazioni di aggiotaggio sul suo pacchetto di Rcs in pegno a Bpi, ipotizzando persino un fido da un miliardo di euro. Insomma, il solito: drogare anche il mercato pompando la valutazione dei titoli Rcs in portafoglio. E va a costituire persino una «rete di informatori» per «unattività illecità di intelligence» sulle stesse indagini dei Pm. Villoni denuncia il «grave inquinamento probatorio», e la «particolare pericolosità sociale» di Ricucci & C. La rete vede arruolati un manipolo di persone, per laccusa pronte a vendersi. Vincenzo Tavano, barese già colonnello dellesercito e un tempo ai vertici della logistica proprio al Comando Generale della Gdf. Il brigadiere capo Luigi Leccese, responsabile del casermaggio proprio alla Rustica, quartiere generale della Gdf che indaga su Ricucci e infine Tommaso Di Lernia, romano del 1963, conosceva Tavano per i lavori edili compiuti negli uffici del Corpo. Una combriccola finita a Regina Coeli, improvvisata sì ma pericolosa per la tenuta delle indagini. Ricucci cerca di ammaliare persino un tenente colonnello, Antonio Carano, fino a dicembre al Valutario e ora a controllare la Spesa pubblica. La sua posizione, seppur da indagato, risulta più sfumata.
Chiarito che lastro nascente è nelle polveri, sfugge come sia riuscito a imporsi. «Le manovre tese - conclude il Gip - tese a determinare lanomalo rialzo del valore di mercano del titolo Rcs avevano almeno due obiettivi. Il primo era quello di conseguire sempre maggiori finanziamenti bancari, garantiti con pegno sulle azioni, nel disegno probabilmente velleitario di un autofinanziamento delloperazione. I contratti di finanziamento stipulati con le banche prevedevano un affidamento massimo e un rilascio di liquidità commisurato al valore di mercato dei titoli offerti in garanzia. A ciò detratto uno scarto tra il 15 e il 30% con la conseguenza che il rialzo del prezzo del titolo consentiva allindagato di ottenere ulteriore liquidità con cui effettuare ulteriori acquisti e di aumentare il valore della garanzia.
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