Giro: Basso e chiudo Ivan vola verso Milano

Ivan è sorpreso: «Mai avuto attorno così tanto tifo»

A volte i tifosi sono molto più svegli e sintetici dei giornalisti. Basta uno striscione, un lungo striscione sul traguardo affollatissimo di Domodossola: «Basso e chiudo». Tutto un Giro d'Italia, mille analisi tecniche, interminabili sedute psicanalitiche sui palchi tivù: tutto spazzato via da una frasetta di tre parole, totali e definitive. Basso e chiudo. Per dire che c'è lui e nient'altro. Che non resta molto da aggiungere. Che questo Giro ha un padrone assoluto, come non succedeva da anni. È incredibile attraversare l'Italia e cogliere giorno dopo giorno l'esplosione del fenomeno. Un fenomeno d'atleta, ma anche un bellissimo fenomeno di simpatie popolari. Solo un paio di settimane fa, gli italiani che conoscevano Basso costituivano un marginale segmento di incalliti e fanatici cultori del genere. Dopo due settimane di corsa, la febbre è già altissima. Le strade sono incredibilmente affollate di gente qualunque, attratta da questo Giro finalmente internazionale e da questo campione finalmente totale. Forte a cronometro, fortissimo in salita, forte e integerrimo anche giù di bicicletta.
Se un difetto ha, sta tutto nel suo equilibrio: ci sono mode attuali che portano ad idolatrare il campione leopardato, con i tatuaggi sulle natiche e con il piercing sulla lingua, il tipo cosidddetto personaggio, nel senso di eccentrico e svitato. Il ciclismo, nel suo piccolo, è impazzito per i Pantani e per i Cipollini. Ecco, per questo genere di platea, Basso è troppo normale. Troppo educato. Troppo posato. Eppure qualcosa sfugge, ai geni dell'immagine e della creatività pubblicitaria: con i suoi modi urbani, con la sua devozione al lavoro e alla famiglia, con la sua cocciuta religione della bicicletta, misteriosamente Basso piace. Direbbe l'esperto di tendenze che piace all'Italia dei semplici e dei normali. Ma diamine se piace. Partenze, percorsi e arrivi di tappa sono invasi da folle veramente oceaniche. E poi ci sono altri segnali. L'arrivo della tappa di sabato, quella del suo attacco sul San Carlo, ha chiamato davanti al video quasi quattro milioni di telespettatori, con uno share pesante del 42 per cento. E pazienza se il maltempo impediva alla Rai di dare immagini in diretta: bastava intuire, bastava ascoltare. Infine c'è un altro segnale, niente affatto secondario: le scommesse. In senso buono. L'agenzia dei Monopoli di Stato, Big Race, che raccoglie le giocate regolari, segnala un'esplosione delle puntate: più novanta per cento rispetto all'anno scorso (curiosità per gli amanti del settore: ormai chi punta un euro su Basso vince solo dieci centesimi).
Tutto quanto messo assieme conduce ad un'unica conclusione: questo Giro, dopo tanti Giri di cronaca giudiziaria e di blitz notturni, sta scoppiando di salute. Toccando ferro. Eppure l'antidivo Ivan Basso rifiuta subito, secondo stile personale, il ruolo del salvatore: «La gente guarda il Giro per il Giro, non per Basso. Io sono solo uno degli attori». Detto questo, siccome non ha le fette di bresaola davanti agli occhi, deve però inevitabilmente riconoscere qualcosa di strano: «Vedo crescere lungo le strade qualcosa di straordinario. Io sono migliorato poco per volta, in lunghi anni di apprendistato. Non ho mai avuto tanto tifo attorno a me. Dalla partenza all'arrivo, avverto un calore veramente impressionante. E dire che non ho ancora vinto niente...».
Ritorna subito la sua ossessione, maturata con lo choc dell'anno scorso: svegliarsi improvvisamente senza maglia rosa, per colpa di un accidente imprevedibile e letale. Ormai ha in testa una cosa sola: vincere. Non accetta di parlare d'altro. Di fare previsioni, di giudicare gli avversari, di rivelare strategie. Le sue interviste televisive sono totalmente inascoltabili: non ha nulla da concedere, se non questa sua dolce e terribile ossessione. A telecamere spente, fa meno fatica. Si spiega liberamente. «La maglia rosa che porto? Non è che me la goda più di tanto. Quella che mi ha dato la vera felicità resta la prima, l'anno scorso. Dopo di allora, conta una sola maglia rosa: quella di domenica prossima, a Milano...».
Arrivare sotto la Madonnina come per deporre il suo particolare ex voto. Come per liberarsi di un peso tremendo. Come per aprire un discorso tutto nuovo, trasformandosi finalmente da grande promessa a grande certezza dello sport italiano. Da qui alla Madonnina, da qui al momento della propria liberazione, Basso è chiamato ad una settimana infernale. Dopo la tappa odierna di Brescia, riservata agli sprinter, si apre il finale spaventoso di questo Giro forcaiolo. Mai in epoche moderne tanto supplizio.

Dal Bondone al Gavia, dalla Marmolada al San Pellegrino, dal Tonale allo sterrato di Plan de Corones, per arrivare fino al golgota del Mortirolo, c'è tutto il simpatico campionario della sofferenza fisica e morale. Per Basso, una lunga passerella prima di gettare al vento la pesante etichetta di magnifico perdente. Prima di zittire tutti quanti con la semplicità di uno striscione paesano: Basso e chiudo.

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